domenica, Agosto 10, 2025
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Mosche e vermi nel cibo: Denunciati diversi locali di Napoli e Salerno

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Mosche e vermi nel cibo e strutture senza autorizzazioni, in condizioni igenico-sanitarie fatiscenti: sanzioni e sequestri per alcuni locali della Campania.

Una tonnellata e mezzo di trippa e altre frattaglie bovine tenute in pessimo stato di conservazione, ricoperte di insetti: ecco cos’è stato trovato in un esercizio commerciale di Napoli dai carabinieri del Nucleo Antisofisticazione e Sanità partenopeo, che hanno posto sotto sequestro, oltre al cibo, anche diverse attrezzature.

Nel corso di un’ispezione, è emerso che gli stessi alimenti erano stati lavorati, manipolati, stoccati e confezionati all’interno di locali privi di titoli autorizzativi e in condizioni fatiscenti. Al termine delle operazioni, i carabinieri hanno sottoposto tutto al sequestro giudiziario, oltre ovviamente all’intera attività produttiva, denunciando il proprietario all’autorità giudiziaria competente.

In un’altra operazione, invece, i carabinieri del Nas di Salerno hanno chiuso due ristoranti e un deposito alimentare per gravi carenze strutturali e igienico-sanitarie, sequestrando anche oltre due tonnellate di prodotti alimentari di vario tipo, ittici, carnei e vegetali, tutti privi di tracciabilità. Sono stati anche duramente sanzionati, per un totale di un milione di euro, di cui sedicimila euro di multa pera le irregolarità degli alimenti.

Sapori Leggendari: le graffe e le zeppole di San Giuseppe

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Questa settimana vale doppio: vi racconteremo infatti di due leggende e due delizie che sono strettamente legate l’una all’altra.

Le graffe fritte, infatti, hanno una storia molto interessante, storia che ha condotto alla creazione di un dolce campano molto noto ed altrettanto amato, le zeppole di San Giuseppe, della cui invenzione miracolosa parla a sua volta un’altra leggenda che non potevamo evitare di raccontarvi.

Una pasticcera viennese ed un uncino

La storia che accompagna la creazione delle graffe napoletane è avvolta nell’incertezza e nel mistero, anche se priva di quegli elementi sovrannaturali che invece troviamo spesso sulle tavole napoletane.

La leggenda più celebre riguardo l’invenzione della ricetta ha come protagonista una donna, una pasticcera viennese, Cecilia Krapf. La donna, in visita a Napoli, mentre preparava un altro dolce avrebbe lasciato cadere per errore dell’impasto che stava lavorando nell’olio bollente.

Estratto l’impasto ormai cotto ed ancora sfrigolante, colta da una certa ispirazione l’avrebbe cosparso di zucchero e, scoperto quanto fosse buono il suo gusto, decise di chiamare col suo nome quel dolce imprevisto – Krapfen, diventato poi, sulle bocche dei napoletani, graffa.

Non è chiaro se questa leggenda sia autentica: pare infatti che il termine longobardo Krapfo, che a sua volta deriva dal gotico Krappa, significhi uncino, forma data inizialmente a questo dolce. Le due estremità dell’uncino si sarebbero poi incrociate nelle successive lavorazioni, fino a far assumere alla graffa la forma a ciambella che noi tutti conosciamo.

L’unica cosa certa sull’origine delle graffe sembra sia la provenienza o la contaminazione da parte della cultura astro-ungarica.

Le Zeppole di San Giuseppe

Quale che sia l’effettiva realtà sulla creazione della graffa semplice, certo è invece che, sulla base di quella ricetta, il popolo napoletano elaborò un dolce più conforme ai sapori della tradizione campana: stiamo parlando della celeberrima zeppola di San Giuseppe.

Aggiunte le patate all’impasto e ricoperte da crema pasticcera ed amarene sciroppate, le zeppole hanno conquistato con facilità il cuore dei napoletani e dei campani. Alcuni credono che abbiano un’origine addirittura divina: di bocca in bocca si tramanda infatti una leggenda secondo cui alla creazione della ricetta avrebbe partecipato persino il bambin Gesù.

Un sapore miracoloso

La leggenda racconta che un uomo, un mendicante malconcio e zoppicante, avesse bussato alla porta di San Giuseppe chiedendo di bere e mangiare. San Giuseppe fece entrare il pover’uomo e lo dissetò, ma poi disse con costernazione di non aver nulla da offrirgli, nemmeno un tozzo di pane.

Il mendicante ringraziò Giuseppe per aver condiviso con lui quanto aveva, uscì dall’uscio dell’umile casa e carezzò Gesù bambino che stava giocando con dei trucioli di legno e andò via.

Giuseppe si avvicinò al figlio e fece per prenderlo tra le braccia, quando si rese conto che quelli con cui il bambino stava giocando non erano più semplici trucioli di legno: si erano trasformati in paste e ciambelle, coperte di zucchero e creme.

Il falegname corse nella direzione dove aveva visto il mendicante andar via, con l’intenzione di farlo tornare in casa per offrirgli i dolci miracolosamente apparsi tra le mani del piccolo Gesù, ma non lo trovò mai.

Nacquero così, direttamente dalle mani del bambin Gesù Cristo, quelle che passarono alla storia come Zeppole di San Giuseppe.

Festività

Che le loro origini siano divine oppure mortali, napoletane, austriache o longobarde, l’unica cosa certa è che questi due dolci hanno conquistato un posto speciale nel cuore dei napoletani che, ancora oggi, le consumano rispettivamente a Carnevale e nel giorno di San Giuseppe.

E voi? mantenete viva la tradizione?

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San Giovanni a Teduccio: sit-in al parco Troisi per la sopravvivenza del laghetto

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Manifestazione al parco Troisi di San Giovanni a Teduccio contro la delibera comunale che vuole ridimensionare il laghetto.

I cittadini e i comitati della zona est si sono riuniti nel parco Troisi armati di bottiglie per riempire simbolicamente il laghetto. L’impianto è in disuso da anni per mancanza di manutenzione e carenze igieniche. Il laghetto, secondo una delibera comunale, dovrebbe essere ridimensionato per fare posto ad altri impianti meno onerosi dal punto di vista della manutenzione. “Con questa manifestazione – ha detto stamani Marco Sacco, dei comitati civici – si intende ribadire la nostra contrarierà alla delibera del comune, ma allo stesso tempo ringraziare l’amministrazione per la disponibilità al dialogo. Non vogliamo prestare il fianco ai partiti di opposizione che tendono a strumentalizzare la vicenda”. La manifestazione fa seguito all’incontro avvenuto nei giorni scorsi fra i comitati e l’assessore Ciro Borriello. “Ci siamo soffermati – aggiunge Marco Sacco – su quanto disposto dalla delibera n.315 del 5 luglio 2019 che suggerisce di ridimensionare lo specchio d’acqua del parco Troisi. Tale decisione ha suscitato nella comunità locale una ferma contrarietà. L’assessore si è reso disponibile a recepire le istanze della cittadinanza”.

L’assessore si è impegnato inoltre a proseguire il confronto con le parti politiche e civiche per la riqualificazione del parco Troisi. Dalla riunione è emersa la necessità di avviare un piano di rilancio dei parchi urbani nella VI municipalità. L’assessore si è impegnato anche a reperire i fondi necessari per riqualificare il campo di calcio posto su viale 2 Giugno. “Consideriamo positivamente gli impegni assunti dall’amministrazione comunale – conclude Marco Sacco – e continueremo a partecipare a tutte le iniziative che mantengono viva l’attenzione sui temi della qualità urbana”.

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Terzo incendio in un anno: ancora in fiamme lo stir di Casalduni

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Un violento incendio è divampato questa notte all’interno di un capannone dello Stir di Casalduni, in provincia di Benevento.

Si tratta del terzo incendio allo stir di Casalduni dopo quello del 16 agosto di quest’anno e dell’altro risalente ad agosto 2018.  Non solo: semplicemente spostandoci di qualche km, tre giorni fa, era andato in fiamme lo Stir di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano.  Ben due roghi ad impianti di trattamento e compostaggio dei riddfiuti in Campania in meno di una settimana.

L’impianto per il trattamento dei rifiuti che serve l’intera provincia di Benevento aveva ripreso da poco le attività, dopo il sequestro dell’area disposto dalla procura della Repubblica per consentire le indagini. E un’altra inchiesta per accertare responsabilità e cause è stata già aperta.

Coincidenza non da poco è che a prendere fuoco nello stir di Casalduni sono state ancora una volta balle di rifiuti tritovagliati pronti per essere trasferiti nel termovalorizzatore di Acerra. L’impianto, dopo il blocco per lavori di manutenzione, è stato riaperto di recente, addirittura con qualche giorno in anticipo rispetto alle previsioni.

Il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha espresso grande soddisfazione per la grande emergenza rifiuti di cui avevano parlato i giornali e che, a suo dire, nonostante la chiusura dell’inceneritore, nei fatti non si è manifestata. Ancora non pervenuti commenti sull’ultimo rogo che ha interessato la regione.

De Luca- Crisi Rifiuti Acerra

 

22enne di Caserta morta a Modena: aperto un fascicolo per omicidio colposo

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Tra la notte di giovedì e ieri 18 ottobre, una 22enne originaria di Caserta è deceduta all’ospedale di Modena.

La procura di Modena ha disposto oggi l’apertura di un fascicolo per indagare sulle le cause del decesso della giovane con l’ipotesi di reato di omicidio colposo. Le indagini, affidate al pubblico ministero Marco Niccolini, riguarderebbero più di un medico, ma al momento non si sa il numero esatto.

La ragazza, che si era trasferita in Emilia Romagna per seguire il suo sogno di diventare cantante,  si era recata lo scorso 7 ottobre al Pronto Soccorso di Vignola lamentando dolori all’appendicite, il giorno dopo viene portata all’Ospedale di Sassuolo e operata d’urgenza.

Da quanto si legge in una nota diramata dall’Ausl, il decorso post-operatorio è inizialmente sembrato regolare, ma dopo poco la giovane avrebbe accusato dolori improvvisi ad una spalla, quindi non direttamente riconducibili a complicanze post-intervento. Successivamente, sono stati disposti diversi approfondimenti diagnostici, effettuati nei giorni scorsi in ospedale sempre a Sassuolo.

“Nonostante un quadro clinico stabile — si legge ancora nella nota dell’Azienda Sanitaria — è stata trasferita in ambulanza all’ospedale di Baggiovara per ulteriori approfondimenti”. Qui è stata eseguita un’angioTAC, poco dopo un improvviso peggioramento, la ragazza è stata trasferita in rianimazione dove è morta ieri all’alba.

“Un evento, tragico, imprevedibile, che lascia sgomenti tutti i sanitari e addolora profondamente”, scrive l’ospedale emiliano che esprime vicinanza, cordoglio e totale trasparenza alla famiglia: “tutti gli accertamenti sono stati disposti ed è stata aperta un’indagine interna”. L’Azienda ha assicurato la massima collaborazione alle indagini “avendo comunque piena fiducia nell’operato dei propri professionisti, che, ad una prima analisi, risultano aver assicurato tutte le cure necessarie”.

La procura di Modena ha nominato un consulente per l’autopsia, prevista per martedì, mentre fra le prime ipotesi al vaglio per il decesso della giovane ci sarebbe quella dello choc emorragico.

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BussoLaStoria: è davvero l’amalfitano Flavio Gioia l’inventore della bussola?

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Flavio Gioia è, secondo la tradizione, il navigatore cui è stata attribuita per secoli l’invenzione della bussola: per aprire una rubrica storica non c’è, quindi, alcuna figura più consona di lui per questo portale.  Comincia con lui #BussoLaStoria: rubrica che sarà dedicata ai personaggi e alle storie più importanti della Campania. 

C’è però del bizzarro nella storia di Flavio Gioia, poiché di recente è stata messa in dubbio e perfino confutata la sua esistenza.

La tradizione che attribuisce l’invenzione della bussola a Flavio Gioia è testimoniata dall’iscrizione della statua eretta in onore dell’ “inventore della bussola”, che campeggia ad Amalfi. Il navigatore sarebbe nato ad Amalfi o a Positano attorno al 1250, e varcata la soglia del 1300 avrebbe inventato o perfezionato la bussola.

Nel 1511, Giovanni Battista Pio, nei suoi “In Carum Lucretium poëtam Commentarii“, riprese l’informazione di Flavio Biondo (un eminente umanista, che attribuiva l’invenzione della bussola agli Amalfitani) in questi termini: Amalphi in Campania veteris magnetis usus inventus a Flavio traditur. La formulazione del testo latino si apre però a due interpretazioni, cioè:

 

  • Viene tramandato da Flavio che l’uso della bussola sia stato inventato ad Amalfi in Campania”;
  • “Si tramanda che l’uso della bussola sia stato inventato ad Amalfi, in Campania, da Flavio”.

Questo perché Flavio, complemento d’agente in latino, può riferirsi sia a traditur (cioè “è tramandato”) che a inventus (cioè “inventato”). A causa della seconda interpretazione, che pur essendo fattualmente sbagliata è grammaticamente corretta, Flavio divenne per errore la figura cui fu affibbiata la paternità della scoperta.

 Lilio Gregorio Giraldi, nel suo De Re Nautica (1540), attribuisce l’invenzione della bussola a tale “Flavio di Amalfi”. In seguito, lo storico napoletano Scipione Mazzella aggiunse, senza alcuna fonte, che “Flavio” sarebbe invece nato nella località pugliese di Gioia del Colle e divenne Flavio di Gioia. In seguito scomparve la particella “di” e Gioia diventò il cognome del presunto inventore.

Il tempo passò e nonostante non sia probabilmente esistito, lo scultore cavese Alfonso Balzico dedicò a Flavio Gioia un monumento ad Amalfi, che ha dato poi il nome alla piazza in cui è situato. Di recente, tuttavia, la storica Chiara Frugoni ha definitivamente dimostrato l’inesistenza di Flavio Gioia con un’approfondita ricerca, chiudendo questo lungo cerchio.*

La bussola è in realtà un’invenzione cinese, adottata poi dagli Arabi e infine dagli Amalfitani e dei Veneziani che la diffusero nel resto d’Europa. Quasi sicuro è che Marco Polo, al suo ritorno dalla Cina nel 1295, abbia contribuito alla diffusione di questi strumenti per la navigazione usati dai popoli che visitò.

Sebbene il famoso navigatore non sia esistito davvero, sono innegabili i meriti degli Amalfitani nella diffusione e nel perfezionamento della bussola e, in generale, della navigazione dei mari: si potrebbe dire, insomma, che è un’icona o una metafora, un rappresentante del popolo della Repubblica Marinara nella sua interezza.

*Chiara Frugoni, Medioevo sul naso: occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza, 2004.

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Il team napoletano “BeyondShape“ in corsa per il Premio Nazionale per l’Innovazione

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Dopo aver vinto l’edizione 2019 della Start Cup Campania, il team BeyondShape è uno dei candidati al Premio Nazionale per l’Innovazione.

A conquistare il gradino più alto del podio della Start Cup Campania quest’anno è stato il team BeyondShape, aggiudicandosi il primo premio con il progetto Inbody. Grazie a questa importante vittoria, il gruppo di ricerca parteciperà all’edizione 2019 del Premio Nazionale per l’Innovazione, che quest’anno si svolgerà presso l’Università degli Studi di Catania il 28 e il 29 novembre.

Al Premio Nazionale per l’Innovazione (PNI) sono ammessi i gruppi selezionati dalle singole Start Cup locali, ovvero “business competitions” svolte annualmente in tutte le regioni e che aderiscono alla prestigiosa competizione nazionale. Lo scopo delle Start Cup regionali è quello di premiare le più interessanti iniziative imprenditoriali al fine di promuovere la ricerca e l’innovazione tecnologica nei territori regionali.

Che cos’è BeyondShape?

BeyondShape è una società spin-off dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, che sviluppa sistemi avanzati per la scansione tridimensionale del corpo umano ed elabora dati per le applicazioni mediche. Orgoglio tutto campano, BeyondShape è un gruppo multidisciplinare, formato da rappresentati dell’Università di Napoli “Federico II”, dell’Università della Campania “Vanvitelli” e dell’azienda ortopedica “Ortopedia Ruggiero srl”.

In particolare, il team BeyondShape è composto da Stanislao Grazioso, Dario Panariello, Teodorico Caporaso, Giuseppe Di Gironimo (Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università “Federico II”), Mario Selvaggio (Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie dell’Informazione dell’Università “Federico II”), Angela Palomba (Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”), e Roberta Antonia Ruggiero (Azienda ortopedica “Ortopedia Ruggiero srl”).

Inbody

Instant 3D body scanner for biomedical applications: questo è il significato che si cela dietro al nome Inbody, progetto con il quale il team BeyondShape ha ottenuto l’ambìto riconoscimento durante la Start Cup Campania e concorrerà al prestigioso Premio Nazionale per l’Innovazione.

Il progetto è incentrato su “un body scanner tridimensionale fotogrammetrico” – si legge nella nota stampa dell’Università “Federico II” – “che consente una acquisizione istantanea delle forme anatomiche del corpo umano a partire da semplici fotografie, con una accuratezza di digitalizzazione nell’ordine del mm. INBODY mira a velocizzare e a migliorare in termini di qualità i processi produttivi di dispositivi biomedicali a calzatura personalizzata (protesi e ortesi) che richiedono modelli digitali accurati del corpo umano.”

Si tratta di uno strumento che potrà anche affiancarsi, in modo complementare, alle radiografie, al fine di monitorare patologie legate a deformità spinali, come scoliosi e cifosi.

Start Cup Campania

La Start Cup Campania, parte del Premio Nazionale per l’Innovazione, è un concorso al quale possono partecipare tutte le università della regione Campania. Questa competizione regionale è aperta a chiunque abbia voglia di mettersi alla prova e sviluppare le proprie idee innovative ed originali, trasformandole in un progetto aziendale. I gruppi partecipanti possono essere formati da un numero qualsiasi di persone, associate in modo informale oppure già costituite in forma di società. Il primo premio viene conferito al team di professionisti che elabora ed interpreta al meglio idee imprenditoriali basate sulla ricerca e sull’innovazione tecnologica.

Quest’anno sul podio erano ben tre i progetti promossi dall’Università di Napoli “Federico II”, di cui due in ambito medical e uno in ambito green. Oltre a Inbody che, in quanto primo, ha ottenuto un premio di 5000 euro, TENPROProstate (ElicaDEA) si è aggiudicato il terzo posto, mentre il gruppo SmartUp ha raggiunto il quinto posto con il suo progetto Jpad-suite.

L’Università degli Studi di Salerno, invece, ha promosso i progetti che hanno ottenuto la seconda e la quarta posizione. In particolare, il progetto TruckY (Dipartimenti di Ingegneria Industriale “DIIN” e di Ingegneria dell’Informazione ed Elettrica e Matematica applicata “DIEM”) ha conquistato il secondo posto, mentre ZEOLab (Dipartimenti di Ingegneria Industriale “DIIN” e di Ingegneria Civile “DICIV”) si è classificato quarto.

La Start Cup Campania 2019 è stata diretta dall’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, con il coordinamento operativo del Centro di Servizio di Ateneo per il Coordinamento di Progetti Speciali e l’Innovazione Organizzativa (COINOR) dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Leggende della Campania: Gesio e la Bocca del Dragone

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Qualche settimana fa vi abbiamo parlato di un drago che viveva ai confini di Napoli e del cavaliere che lo sconfisse.

Ma la città partenopea non è affatto l’unica, in Campania, ad aver subito l’assalto e l’attacco di una di queste spaventose creature; una delle leggende più celebri riguardo i draghi campani è certamente quella di Volturara Irpinia, comune in provincia di Avellino.

In questo luogo vi è infatti una zona chiamata “la bocca del dragone” dove sono stati consumati assassinii, sacrifici ed epiche lotte. Oggi vogliamo parlarvi della storia della bocca del dragone e di un eroe di nome Gesio.

I Visigoti

C’è stato un tempo in cui Volturara Irpinia venne conquistata da dei barbari – in molti pensano che si trattasse dei Visigoti – e stando alle leggende pare che il successo della loro impresa non fosse dovuto esclusivamente alla loro ferocia in battaglia, ma anche al fatto che possedevano un drago.

Si dice infatti che la città fosse stata interamente coperta da un’ombra spaventosa e gigantesca. Già terrorizzati, gli abitanti alzarono gli occhi al cielo per capire cosa o chi proiettasse un’ombra così grande: fu allora che videro, per la prima volta, il dragone dei barbari. 

C’era chi dice che avesse tre teste, altri che ne avesse solo una o due, ma l’unica cosa certa, oltre alle dimensioni gargantuesche, era che l’essere possedeva un solo occhio. Il dragone ruggì e piombò sulla città mentre i Visigoti la razziavano, derubando gli abitanti delle loro ricchezze e stuprando le donne del luogo.

In breve tempo la città fu sottomessa.

Dieta draconica

I Visigoti, conquistata la città, riuscirono a riacciuffare il drago che aveva permesso loro di conseguire quella facile vittoria. Il dragone venne messo a guardia d’una grotta dove i barbari avevano ammassato tutte le ricchezze su cui erano riusciti a mettere le mani.

Per nutrirlo, periodicamente conducevano alle porte della grotta del tesoro due ragazzi di Volturara Irpinia e due vitelli: nessuno riuscì mai a sfuggire alle fauci del drago. A volte i genitori dei ragazzi cercarono di sottrarli alle fauci del mostro, ma finirono per essere divorati anch’essi dal drago.

Uno straniero

Un giorno, giunse in città un uomo di nome Gesio. Il suo aspetto tradiva la sua provenienza: alto più di due metri e con una chioma lunga e dorata si capiva sin dal primo sguardo che doveva venire dal più profondo nord.

Gesio aveva un lungo mantello, una possente armatura ed uno scudo su cui capeggiava un misterioso stemma raffigurante tre colline, una quercia ed un corvo. Arrivato nei pressi di Volturara Irpinia l’uomo si appropinquò ad una fonte d’acqua per bere, quando vide una fanciulla che, vicina al fiume, piangeva disperata.

Straziato da quei singhiozzi, Gesio le si avvicinò e le chiese il motivo delle sue lacrime, porgendole un brandello di stoffa strappato dal suo mantello. La ragazza raccontò della terribile maledizione che ormai gravava sulla città, raccontò dei barbari, del drago e dei sacrifici. Il cavaliere la consolò e le disse di aver già sperimentato sulla propria pelle la crudeltà dei Visigoti, verso cui covava desiderio di rivalsa e vendetta.

Poi si allontanò senza proferire altra parola, stringendo la propria spada e lasciandola colma di domande e perplessità.

Catene spezzate

All’alba del giorno seguente, quando stavano per essere condotte alla grotta del dragone le ennesime due vittime, comparve Gesio. I due ragazzi che sarebbero stati offerti alla bestia come tributo erano legati, sorvegliati da diversi barbari, e per prima cosa Gesio li liberò con un colpo di spada, rompendo le loro catene.

Dopodiché iniziò a lottare con i guardiani che li accompagnavano e con estrema facilità li uccise uno dopo l’altro. Tagliata la gola dell’ultimo visigoto, disse ai ragazzi di tornare alle loro case; i due non se lo fecero ripetere e fuggirono via, raccontando che, a liberarli, era stato uno straniero, un uomo misterioso di nome Gesio.

La bocca del dragone

Gesio, dopo aver liberato i ragazzi, entrò nella grotta, ben deciso a combattere la belva che terrorizzava la città. Man mano che s’incamminava nel dedalo di gallerie naturali, avvertiva sempre più chiaramente la presenza del dragone: la terra e le pareti della caverna tremavano, l’aria era sempre più calda e satura di un odore terribile e fetido.

Dopo molto camminare, alla fine Gesio raggiunse l’antro dove la bestia viveva: era enorme, gigantesco, ed aveva davvero tre teste ed un solo occhio. Approfittando della distrazione del dragone, che in quel momento stava divorando una delle vittime sacrificali che i barbari gli avevano portato, provò ad attaccarlo; ma il drago lo vide e si scagliò su di lui.

Le tre teste lo morsero, le fauci di ognuna delle sue bocce conficcate in una parte diversa del corpo di Gesio: una morse le gambe, un’altra il busto ed l’ultima il braccio sinistro. Il drago schiacciò la sua preda sul pavimento, e sentendo l’armatura cedere sotto la forza del morso e del peso del mostro, l’uomo capì di doversi muovere in fretta.

Fortuna volle che il suo braccio destro, quello che impugnava la spada, fosse l’unica parte rimasta libera. Facendo un grande sforzo, riuscì a sferrare un colpo verso il drago, riuscendo a colpire proprio il suo unico occhio. Gridando con quanto fiato aveva in gola e usando tutta la forza che gli era rimasta, Gesio spinse la spada fino all’elsa ed anche oltre nel corpo del dragone: attraversò l’occhio e la testa fino a giungere al cuore della bestia.

Il drago si accasciò al suolo: era morto. I punti dove le tre teste del drago si schiantarono crearono tre profonde voragini e, dopo qualche istante, il corpo della belva svanì nel nulla.  Da allora la grotta venne chiamata “La bocca del dragone”.

Il tesoro e la leggenda

Ripreso fiato dopo la terribile battaglia, Gesio nella grotta trovo tre forzieri colmi d’oro e gioielli. Due li portò in dono ai cittadini di Volturara Irpinia, mentre decise di lasciare l’ultimo, intonso, come tributo al drago appena ucciso, strappato dai Visigoti alla propria casa e sfruttato ingiustamente a causa della loro avarizia. 

Fatto questo, Gesio svanì nel nulla. Dell’uomo misterioso non rimase alcuna traccia, se non il suo nome e le imprese che aveva compiuto, di cui tutti avrebbero parlato fino alla fine dei tempi e del mondo, consacrandolo alla leggenda.

Ancora oggi chi visita la grotta dice di poter sentire l’eco del ruggito del drago e del suo sangue che continua, dopo più di mille anni, a sgocciolare dalle pareti. Ci vuole certo del coraggio a visitare un luogo tanto macabro, il nido di un mostro così feroce, anche se spinti magari dal desiderio di trovare un tesoro abbandonato: saranno anche solo leggende, ma nelle storie e nelle favole, lo sanno tutti, c’è sempre un fondo di verità – e chissà che il drago prima di morire non abbia deposto, vicino al prezioso forziere, almeno un uovo.

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BussoLaLeggenda I : Da dove nascono le Janare? 
BussoLaLeggenda II : Il fantasma del Caffè Gambrinus
BussoLaLeggenda III: La maledizione della Gaiola
BussoLaLeggenda IV: La Strega del Vesuvio
BussoLaLeggenda V: La Tomba di Dracula
BussoLaLeggenda VI: L’amore tra Posillipo e Nisida
BussoLaLeggenda VII: Giovanna la pazza e i suoi amanti senza riposo
BussoLaLeggenda VIII: La Bella ‘Mbriana e l’ospitalità
BussoLaLeggenda IX: I segreti della Grotta Azzurra 
BussoLaLeggenda X: la storia di Castel dell’Ovo
BussoLaLeggenda XI: La strega di Port’Alba
BussoLaLeggenda XII: Tra diavoli e fate, le leggende del lago d’Averno
BussoLaLeggenda XIII: La storia d’amore dei colli di Napoli 
BussoLaLeggenda XIV: Storia della regina verde di Agropoli
BussoLaLeggenda XV: il fantasma di Tiberio e la bella Carmelina
BussoLaLeggenda XVI: la seducente fantasma dell’ex-monastero di Sant’Arcangelo
BussoLaLeggenda XVII: il fantasma di Bianca a via dei Tribunali
BussoLaLeggenda XVIII: la nave di Castellammare di Stabia
BussoLaLeggenda XIX: il Drago di Napoli
BussoLaLeggenda XX: Mergellina, la ninfa ed il pescatore

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Generazioni a confronto: Gianfranco Gallo racconta Denyse Cutolo

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Gianfranco Gallo con un cortometraggio di cinque minuti racconta una storia tanto complicata quanto emozionante che vede protagonista Denyse, figlia di Immacolata Iacone e dell’ex boss Raffaele Cutolo.  In occasione del numero di ottobre del nostro magazine che ha come tema centrale “Generazioni a confronto“, l’attore e regista napoletano ci ha raccontato le difficoltà tra una bambina e il 41bis.

Ci racconti da dove nasce l’idea di questo cortometraggio?

La storia di Denyse mi è venuta incontro da sola. Mi trovavo a casa sua perché era mia intenzione scrivere una sceneggiatura sulla figura di Iammacolata Iacone, madre della ragazza, una donna che a 17 s’innamorò del più potente boss della Camorra, Raffaele Cutolo, e che pochi anni dopo lo sposò nel carcere dell’Asinara. Avrei voluto indagare sulle dinamiche, le motivazioni, le ragioni di quella scelta. Mi ritrovai Denyse che girava per casa, le feci delle domande e la sua storia prese il sopravvento. Dovevo affrontarla. Con una piccola Crew composta da Nedo Novi, Alfredo Esposito, Guido Peluso e Roberto Di Costanzo che si sono appassionati almeno quanto me, mi è stato possibile“.

Qual è la prima cosa che hai pensato appena entrato in quella casa?

Raffaele Cutolo è una figura cristallizzata dal film di Tornatore degli anni ’80: ‘Il Camorrista’. Per l’opinione pubblica vive nel volto, negli occhi e nel corpo di un Ben Gazzara credo 50enne. Oggi, l’ex Boss ha circa 80 anni e qualche malattia, è all’isolamento ufficialmente dal ’92 ma dall’82 si puo’ dire che , per lui, applicarono un 41 Bis ante litteram. Ad Ottaviano mi ci portò Gianluigi Esposito, che ha coprodotto poi il lavoro insieme alla RUN Film dei fratelli Cannavale, al quale avevo confidato la mia intenzione di voler lavorare a quel progetto così particolare. Per me che sono un attore, un autore, un appassionato di Cinema, varcare la soglia della sua casa è stato un misto di sensazioni indescrivibili. Dovevo essere lucido nel bene e nel male, dovevo saper “sentire” le parole di quelle mura e basta. La signora Iacone è stata sempre d’aiuto e collaborativa. Non uscirò mai da casa di Denyse. Ormai fa parte della mia strada“.

Il corto ha diviso il pubblico che si è sentito in dovere di sindacare “nascite e diritti”, ma non era questo che volevi evidenziare con questo lavoro, giusto? Quale messaggio volevi trasmettere?

Il Cinema migliore lascia domande non messaggi. La mia l’ho fatta: ‘Chi spiega a Denyse che è stata fatta nascere con la fecondazione assistita da un padre al 41 Bis con 14 ergastoli?’. Lei proprio in questo mese di ottobre, compirà 12 anni e se fino a settembre , come figlia di un detenuto soggetto al provvedimento del carcere restrittivo, poteva vedere suo padre una volta al mese per un sola ora, dal compimento dei 12 anni lo vedrà esclusivamente al di là di un vetro. Denyse non esisteva quando suo padre fece quel che ha fatto né quando fu condannato, è nata per un provvedimento e per una decisione dello Stato, ora lo Stato dovrebbe forse assumersi qualche responsabilità“.

Durante una presentazione al Pan hai usato queste parole: “Nessuno si è chiesto cosa si può fare per questa bambina”. Secondo te, come si può salvaguardare mediaticamente e socialmente?

Non è mio compito pensare a questo, dovrebbero pensarci anche in questo caso le Istituzioni. Hanno mai fatto un giro a casa sua per chiederle come sta? Come vive la sua condizione? Io sono sempre dalla parte dei familiari delle vittime della Camorra, in ogni caso, ma in questo caso, a mio parere, c’è una vittima in più. Il film ha vinto il ‘Castello film Festival’ di Castel di Sangro, come Miglior Film d’Inchiesta, è arrivato in finale al Napoli Film Festival e al Gran Galà Cinema e Fiction in Campania ha vinto il premio come miglior regia. Sul web , grazie a Fanpage che lo pubblicò, ha centinaia di migliaia di visualizzazioni. Ha incassato il parere favorevole di gente come Sandro Ruotolo che mi è stato spontaneamente molto vicino, Piera Detassis (Presidente dei David di Donatello) che lo ha voluto questa estate al suo Festival del Cinema di Tavolara, Rossana Cingolani, Paola Squitieri e tantissimi altri. Annamaria Torre, figlia del Sindaco di Pagani per il cui Cutolo sconta un ergastolo, accettò di partecipare ad una proiezione insieme al PM Catello Maresca con un conseguente dibattito emotivamente fortissimo. So che giuristi e magistrati lo hanno visto e sono rimasti in qualche modo molto colpiti. Lasciami dire che questo piccolo film, alla fine, lascia pensare tutti ed anche quelli che all’inizio hanno delle convinzioni, quando tornano a casa, non se le ritrovano più“.

Funerali dell’agente Pierluigi Rotta a Giugliano, commozione tra i presenti

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La salma di Pierluigi Rotta, agente ucciso nella sparatoria a Trieste, è stata accolta a Giugliano dai familiari e dalle autorità.

A Giugliano, si è tenuto il funerale di Pierluigi Rotta, 39enne agente della polizia ucciso a Trieste con il collega Matteo Demenego. A celebrare i funerali monsignor Angelo Spinillo. Oltre ai familiari, erano numerose le autorità presenti. Tra queste c’era il prefetto Carmela Pagano e il questore Alessandro Giuliano. Poi il comandante dei carabinieri Giuseppe La Gala e il vice capo della polizia Antonio De Iesu. Presente anche il sindaco di Giugliano Antonio Poziello. La chiesa gremita ha fatto l’ultimo saluto a Pierluigi Rotta. L’ingresso della salma del 34enne originario di Pozzuoli è stato accolto con un lungo applauso.

Pierluigi, non ho avuto la fortuna di conoscerti, ma ho parlato con chi ti conosceva, ho visto quel video. Grazie di essere stato dei nostri, con il tuo sorriso rappresenti il meglio della Polizia di Stato”. Lo ha detto il questore di Napoli, Alessandro Giuliano, prendendo la parola durante i funerali di Pierluigi Rotta. “Siamo onorati di indossare la tua stessa divisa – ha aggiunto Giuliano – cercheremo ogni giorno di esserne all’altezza. Il tuo sorriso non ci lascerà più”. Giuliano si è poi rivolto ai familiari di Rotta: “Siate orgogliosi di voi stessi, se Pierluigi era il ragazzo che era molto del merito è vostro, per come è cresciuto e per i valori che gli avete trasmesso“.

Oggi tutti noi, intorno a Pierluigi e al suo collega Matteo, vogliamo esprimere la fraternità che sentiamo nell’anima e sentiamo di vivere la stessa sofferenza e la stessa speranza, perché sappiamo che Pierluigi ha impegnato propria vita, è caduto mentre affermava in nome della società civile i valori di vita umana che anche noi crediamo e vogliamo, e per i quali vogliamo impegnarci ogni giorno”. Sono le parole di monsignor Spinillo, nell’omelia pronunciata ai funerali. “Non importa se non ci si è mai conosciuti prima – ha aggiunto monsignor Spinillo – se la vita ci ha fatto percorrere strade che non ci hanno fatto incontrare di persona. Oggi sentiamo che nella storia ci sono momenti, a volte terribili e drammatici, che ci chiamano però a condividere e a soffrire per la realizzazione degli stessi ideali, a lottare per la stessa e unica speranza di giustizia e di vita per l’umanità. Ora possiamo dire che ci sembra di conoscerci da sempre, di essere sempre più amici, uniti in fraternità, chiamati a percorrere la stessa strada, appartenenti allo stesso popolo“.

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