lunedì, Agosto 18, 2025
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Napoli, lotta ai parcheggiatori abusivi sul Lungomare

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Napoli, il weekend ha portato controlli a tappeto in tutta la città e di conseguenza cospicue multe nei confronti di parcheggiatori abusivi e ambulanti soprattutto nella zona del Lungomare.

Gli agenti dell’Unità operativa Chiaia sono stati i protagonisti: hanno effettuato diverse operazioni nei luoghi più movimentati della città, nella specie il tratto del Lungomare. Assieme a queste, servizi contro i parcheggiatori abusivi e la sosta selvaggia in Via Caracciolo, nel lato che costeggia Mergellina e il Largo Sermoneta. Si tratterebbe insomma di una piccola spallata: hanno subito le sanzioni 5 soggetti, parcheggiatori abusivi ai quali è stato notificato l’ordine immediato di allontanamento e sequestrati i proventi, equivalenti a 75 euro.

E dai parcheggiatori abusivi agli ambulanti ci passa poco: i vigili dell’Uo di Chiaia hanno così monitorato tutta l’area. Multe, quindi, anche ad ambulanti nella zona del Largo Sermoneta e nella zona degli Chalet. Hanno effettuato sequestri per 250 cover di telefoni, oltre 150 accessori telefonici e 168 cappelli. Le sanzioni sono state particolarmente salate nei confronti dei due rivenditori ambulanti. Arrivano, infatti, fino a 1000 euro.

 

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Uccide la figlia di 16 mesi e poi tenta il suicidio: Papà 35enne è grave al Cardarelli

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Uccide la figlia di soli 16 mesi e poi tenta il suicidio: un uomo di 35 anni è ricoverato ora al Cardarelli, in grave condizioni. Per la piccola non c’è stato nulla da fare.

Un giovane papà di 35 anni ha lanciato la figlia di soli 16 mesi dal balcone di casa situata al secondo piano e poi ha cercato di suicidarsi buttandosi da lì subito dopo. La bambina è morta schiacciata sul lastricato del cortile mentre lui è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale “Cardarelli” di Napoli. La tragica vicenda è accaduta a San Gennaro Vesuviano, comune a sud dell’area metropolitana partenopea.

I carabinieri stanno indagando per capire cosa ha portato l’uomo all’insano e folle gesto. Secondo una primissima e sicuramente generica ricostruzione, il 35enne era in casa con la moglie, le avrebbe chiesto con una scusa, di andare in un’altra stanza, poi la tragedia. Tra i due pare ci siano stati dei problemi: probabilmente stavano per separarsi.

Sembra però surreale che la probabile fine di una storia possa aver determinato la morte di una bimba piccola per mano dello stesso genitore che l’ha messa al mondo.

Tragedia nel napoletano: Papà lancia la figlia di 16 mesi dal balcone e prova a suicidarsi

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Un uomo ha lanciato la figlia  di appena 16 mesi dal secondo piano della sua abitazione e poi si è buttato giù. Il dramma è accaduto a mezzogiorno circa, a San Gennaro Vesuviano, a sud di Napoli.

La bimba è morta sul colpo, schiacciata sul selciato. Il padre, di  anni 35, è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Cardarelli di Napoli. Secondo le prime ricostruzioni, alla moglie e madre della bimba – che era in casa al momento della tragedia,  era stato chiesto con una scusa di allontanarsi e andare in un altra stanza.

A quanto si apprenderebbe, la coppia litigava da tempo e stava affrontando le fasi della separazione.

Sul dramma indagano i carabinieri.

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Nuova allerta meteo in Campania

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La Protezione Civile della Regione Campania ha emanato un avviso di allerta meteo con criticità idrogeologica di colore Giallo a partire dalle 18 di oggi e per le successive 24 ore.

Come si legge nell’avviso si prevedono: “Precipitazioni sparse, anche a carattere di rovescio o temporale, localmente di moderata intensità con possibili raffiche di vento nel corso dei temporali”. La perturbazione interesserà dapprima il settore costiero per poi coinvolgere le altre aree del territorio incluse nell’avviso meteo. 

Le aree che saranno particolarmente interessate sono:

  • Zona 1 (Piana campana, Napoli, Isole, Area Vesuviana),
  • Zona 3 (Penisola sorrentino-amalfitana, Monti di Sarno e Monti Picentini) ,
  • Zona 4 (Alta Irpinia e Sannio) ,
  • Zona 5 (Tusciano e Alto Sele) ,
  • Zona 6 (Piana Sele e Alto Cilento) ,
  • Zona 7 (Tanagro),
  • Zona 8 (Basso Cilento).

I rischi

Tra i possibili rischi legati all’allerta meteo si segnalano “Ruscellamenti superficiali con eventuali fenomeni di trasporto di materiale; allagamenti di locali interrati e di quelli a pian terreno; Scorrimento superficiale delle acque nelle sedi stradali e possibili fenomeni di rigurgito dei sistemi di smaltimento delle acque meteoriche con tracimazione e coinvolgimento delle aree urbane depresse; Innalzamento dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua minori, con inondazioni delle aree limitrofe, anche per effetto di criticità locali (tombature, restringimenti, ecc), Occasionali fenomeni franosi superficiali legati a condizioni idrogeologiche particolarmente fragili, in bacini di dimensioni limitate”.
La Sala operativa regionale raccomanda alle autorità competenti di porre in essere tutte le misure atte a prevenire e contrastare i fenomeni previsti, in linea con i rispettivi piani di protezione civile.

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Il paradiso perduto. Leela: “opera cosmica” tra le rovine di Pompei

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Il paradiso, la malinconia, l’arte: la coreografia di Noa Wertheim attraverso contrasti e incontri mette in scena quella che viene definita come “un’opera cosmica” nella meravigliosa cornice antica di Pompei.

Noi tre
Siamo Soli
Viviamo in un ricordo
La mia eco
La mia ombra
Ed io
Noi tre
Non siamo una folla
E nemmeno una compagnia
La mia eco
La mia ombra
Ed io

Così inizia la coreografia di Noa Wertheim e della compagnia Vertigo andata in scena al Teatro Grande di Pompeii, con queste parole cantate da una delle ballerine che si esibiranno di lì a poco.

Un paradiso perduto

Difficile descrivere con le parole quel che si è visto andare in scena: vestiti di nero ed in un contrasto di bianchi e luci, la compagnia di danza mostrava i suoi ballerini come fossero davvero ombre, echi di qualcosa di perduto e tuttavia di irrinunciabile. In scena, attraverso la coreografia, è andato in scena qualcosa che riecheggia nei sogni di tutti noi, che ci brilla negli occhi nei giorni in cui c’è la luna alta in cielo, ma di cui non riusciamo a cogliere pienamente l’essenza – o che, forse, semplicemente non è esprimibile con il linguaggio o attraverso la logica, e che rimane latente – e pura – come una sensazione, un sentire arcaico. Qualcosa di forse mai esistito eppure, e contempo, mai dimenticato. Un paradiso perduto.

Di cosa è fatto il paradiso? Di simmetria.

Nella prima scena dello spettacolo, vediamo i ballerini che si uniscono a due a due nella danza, ed ognuna delle coppie danza orbitando intorno ad un centro posto esattamente tra loro due. Queste ombre scure si scambiano le une con le altre, formano nuove coppie orbitanti, ma, inizialmente, la simmetria, l’armonia e l’ordine, anche se mutevole, resiste. L’inizio dell’opera cosmica – così chiamata nel titolo dello spettacolo – ricorda il movimento delle molecole e delle stelle, e forse i ballerini stanno effettivamente interpretando il ruolo di elettroni impazziti e di materie e galassie che vanno creando e cambiando e assemblando, generando così un nuovo mondo. Che però, forse, non sarà mai più così perfetto.

L’evoluzione passa per il caos

Il paradiso e la sua armonia vengono infatti ben presto perduti. Il mondo – il palco – si trasforma in un calderone confuso, che ribolle di possibilità. Le unioni tra i ballerini non sono più armoniche né bilanciate, non sono gentili ma anzi spesso violente. Il mondo diventa lotta, contrapposizione di opposti, dolore. Ma attraverso questo dolore e questo scontrarsi d’opposti, nella sintesi di luce ed ombre, uomini e donne, musiche e rumori, in questo meraviglioso chiasso estetico si genera qualcosa di nuovo.

Sul palco compare una rampa, per metà bianca e per metà nera, lateralmente ricoperta da quelli che paiono petali. Nuovi movimenti nascono e nel salire questa rampa si manifestano. E’ nato qualcosa di nuovo, generato anche dalla violenza ma che ricorda l’armonia ormai perduta.

La violenza immobile dell’identità

Nonostante a prima vista non sembri, non è lo scontro appena avvenuto la parte più violenta dello spettacolo. Una ballerina si ritrova con le mani di tutti gli altri intorno al viso, al capo. Mentre cammina sul palco, lentamente, tutte queste mani le fanno da strascico – e sembrano appesantirla, bloccarla, schiacciarla. La ballerina cerca di staccarsi più volte dalle mani degli altri – e per brevi momenti pare riuscirci, lasciandole indietro in una posa plastica, come fosse quasi un calco della sua testa – ma poi vi ritorna indietro, e sotto, e lascia che la circondino nuovamente.

In questo mondo nuovo che si sta creando si perde la purezza iniziale, la libertà del paradiso è sempre più lontana. Anche se non si danza con nessuno non si è mai davvero da soli: la propria identità diventa la sintesi tra la propria essenza e gli altri, il resto del mondo. Sul palco c’è una bellissima rappresentazione estetica di un principio quasi freudiano: la ballerina, anche se a un certo punto si stacca e danza libera nell’ombra, fuori dal cono di luce del palco, viene subito sostituita da un’altra, un’altra sé, una che è possibile mostrare agli altri, al mondo, agli spettatori. C’è un Io, una parte dell’individuo di cui si parla in questo spettacolo, che si mostra al pubblico così come una persona si mostrerebbe al mondo; ci sono le sue sovrastrutture, degli altri interiorizzati, un super-io reso graficamente dalle mani che stanno sopra e intorno la sua testa – indirizzandone i movimenti, vietandogliene alcuni – ed una parte di sé che danza libera nell’ombra, lontana da tutte le costrizioni ed assecondando tutti i propri desideri, un es selvaggio come la materia o un uomo primitivo, che non accetta altro se non se stessa e l’imperativo delle proprie pulsioni.

E’ la storia violenta di ognuna delle nostre identità, combattute tra parti di calda oscurità ed algida luce: anche questa è la narrazione di una nascita, forse ancora più violenta della precedente.

La storia di una Saudade e della sua sublimazione

Lo spettacolo continua la sua narrazione, a volte attraverso movimenti fluidi e a volte attraverso movimenti rigidi, in alcune scene in modo delicato ed in altre invece violentemente. Ballerine e ballerini si affastellano sulla rampa, si sollevano gli uni sugli altri come a tendere verso la luna – che ad un certo punto viene anche invocata – ed il cielo, per cercare di soddisfare la malinconia, la melancolia, la Saudade per il paradiso e la pace che forse non saranno mai più raggiunti.

Ma, forse, c’è un modo per sublimare la propria sofferenza e nostalgia di questo non-conosciuto, c’è modo di trovare serenità: una ballerina cade dal cono di luce verso l’ombra, pare morta, raggomitolata su se stessa. Per la prima volta da quando è iniziata la coreografia la scena è statica e pare che tutto sia finito. Ma poi, improvvisamente, le luci si accendono sulla rampa: è comparso un paravento rosso, anche lui ricoperto come la rampa da quelli che sembrano petali. Si sente una musica conosciuta che nel contesto appare tanto aliena da sembrare quasi stonata: Dream a little dream of me” di Doris Day. 

C’è una figura che emerge dal paravento: prima la parte superiore è femminile e quella inferiore maschile, poi quella inferiore femminile e quella superiore maschile. In un gioco quasi di prestigio la sovrapposizione di due ballerini fa comparire questo gigante ermafrodito che si muove e danza dietro il paravento sulle note della voce di Doris Day come fosse davvero un sogno una visione. Una personificazione dell’arte che fonde corpi maschili e femminili in quello senza sesso di quest’opera cosmica che cerca di sublimare la sofferenza della violenza e della smarrita armonia in qualcosa che, con la bellezza, ci aiuti a superare il lutto del paradiso perduto.

Anche la figura della ballerina in ombra si rialza: non è morta, e guarda la danza dietro il paravento. L’arte non le ha portato via la sofferenza, ma l’ha resa capace di guardare alla violenza della vita ed alla mancanza di armonia trovandovi bellezza.

Dream a little dream of me: è proprio il paradiso perduto a cantarla ed invoca l’arte, e l’artista, affinché canti di lui, e lo ricordi.

You, tu… maybe

Poco prima della fine dello spettacolo, un ballerino danza, muovendo le mani come a simulare il battito di un cuore, movimento già proposto all’interno dello spettacolo, e si muove al ritmo degli applausi del pubblico. Quando questi si ferma, il ballerino si blocca, e non si muove più; il pubblico capisce rapidamente, e inizia a battere le mani in modo ritmato per non far fermare il ballo, fin quando il ballerino non inizia a cantare ancora una volta le strofe di “Dream a little dream of me“, interagendo col pubblico e spazzando definitivamente via la quarta parete: sogna un po’ di me, un po’ di questo paradiso perduto, canta, rivolgendosi agli spettatori, interrompendo la canzone e aggiungendo: “You!” indicando una delle poltrone. “oppure… tu!”, indicandone un’altra. “You… maybe” aggiunge alla fine, strappando una risata alla platea che era invece in una sorta di stato di estatica vigilanza. La risata rompe l’incantesimo, i ballerini danzando scivolano fuori dalla scena per poi raccogliere i meritati e lunghi applausi.

L’arte ha mantenuto la sua promessa: la malinconia ha vissuto una catarsi, e s’è trasformata in estasi. 

Uno spettacolo moderno nella Pompei antica

Non ci si può esimere dal citare il ruolo aggiuntivo svolto dalla meravigliosa cornice del Teatro Grande di Pompei: vedere uno spettacolo di danza così moderno messo in scena in una cornice antica è incredibilmente bello, quasi commovente.

Il contrasto tra il Teatro e la coreografia è struggente e mostra allo spettatore il ruolo fondamentale dell’arte nella vita di ciascuno e dell’umanità intera: l’arte è il filo rosso che unisce l’uomo alla vita, una storia d’amore lunga migliaia di anni e forse unico strumento a nostra disposizione che renda ancora oggi l’esistenza tollerabile. Proprio come ai tempi dei nostri antenati, “Il paradiso perduto. Leela – opera cosmica” ha svolto quel ruolo di agente catartico di cui forse oggi più che mai avremmo bisogno.

Sweet dreams till sunbeams find you
Sweet dreams that leave all worries behind you
But in your dreams whatever they be
Dream a little dream of me…

La Coreografia e la Compagnia

Il paradiso perduto. Leela – opera cosmica” è, come anticipato, una coreografia di Noa Wertheim realizzata con la Vertigo Dance Company. Le musiche sono originali di Ban Bagno. La produzione è ad opera del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Matera Basilicata 2019, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia e, naturalmente, la Vertigo Dance Company.

La Vertigo Dance Association è stata fondata ventisette anni fa a Gerusalemme da Adi Sha’al e Noa Wertheim, l’ultima dei quali è l’attuale direttore artistico.

 

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Bagnoli: dissequestrate aree ex Italsider, al via le bonifiche

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La Corte d’appello di Napoli ha dissequestrato le aree del Sito di interesse nazionale dell’ex Italsider di Bagnoli, così le bonifiche potranno ripartire a pieno regime.

Il procedimento della Corte

I lavori per la bonifica dell’area ex Italisider di Bagnoli possono finalmente partire dopo anni di attesa e di annunci. Il progetto di rigenerazione urbana di Bagnoli prevede, tra le altre cose, la realizzazione di una spiaggia pubblica di 2 chilometri. Sui lavori di bonifica però pendeva il sequestro da parte della magistratura di alcuni lotti dell’ex Italsider. La svolta è arrivata lo scorso venerdì, con la Corte d’appello di Napoli che ha disposto la restituzione delle aree ad Invitalia, ritenendo che le esigenze cautelari che avevano portato al sequestro siano ormai venute meno.

A inizio del mese di Luglio, Invitalia, soggetto attuatore per la bonifica, ha bandito la gara per la rigenerazione dell’area di Bagnoli. L’avvio della gara per la bonifica e il dissequestro dell’area interessata sono dunque il preludio per l’avvio del progetto su cui Comune, Regione e Governo avevano trovato un’intesa per il rilancio di Bagnoli nel luglio del 2017.

Il commento della Ministra Lezzi

La Ministra per il Sud Barbara Lezzi commenta il dissequestro da parte della Corte di Appello di Napoli dei lotti del Sin di Bagnoli da rigenerare: “Qualcuno, molti, dicevano che sull’ex area Italsider stessi esitando, che stavo allungando i tempi per non affrontare una sfida troppo grande e difficile come la bonifica di Bagnoli, che aveva visto 25 anni di fallimenti. I fatti – ha aggiunto Barbara Lezzi – dimostrano l’esatto contrario: io e tutti i soggetti che stanno lavorando con grande dedizione per Bagnoli ci abbiamo messo la faccia e vogliamo fare, il più rapidamente possibile, tutto quello che è necessario per restituire l’area ai bagnolesi e alla città di Napoli”.

Era stato lo stesso Ministero a depositare presso la Corte d’appello di Napoli l’istanza di dissequestro delle aree del Sin. Pochi giorni prima, la Ministra Lezzi aveva incontrato comitati e associazioni di Bagnoli e Coroglio per fare il punto sulla bonifica dell’area, indicando anche una data per la conclusione dei lavori: “Voi aspettate da tanto, troppo tempo, che Bagnoli torni ad essere un luogo di vita, accessibile e fruibile dalla sua comunità e dalla città di Napoli. Dobbiamo tutti avere la consapevolezza del fatto che quei 25 anni persi non possono essere recuperati in un anno, ma posso dirvi che certamente i lavori di bonifica saranno conclusi entro il 2024“.

Arsenico e vecchi merletti: la commedia da Monicelli a Gleijeses

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La rappresentazione dell’opera di Joseph Kesselring, diretta da Geppy Gleijeses e interpretata da due grandissime attrici come Giulia Lazzarini e Anna Maria Guarnieri, è dedicata al regista Mario Monicelli. Che ne aveva curato la in precedenza la regia, regalando al panorama teatrale un grande successo e, soprattutto un’eredità.

Traduzione e adattamento di Masolino d’Amico, costumi di Chiara Donato e affascinanti scene di Franco Velchi vengono tramandate come doti da regista a regista, arricchendosi di personalità, adattandosi al presente ma preservandone il valore affettivo. Da Monicelli a Gleijeses, si affida uno spettacolo come si trasmette un’antica arte da padre a figlio, con tutta l’unicità conferita dall’esperienza, dalla memoria e dalla piacevole sensazione di familitarità. Una “ricetta” di elementi dal sapore classico, ma intramontabile.

La ricetta per uno spettacolo piacevole dalle note dark

Il palco del Mercadante non è mai stato tanto grazioso: il salotto simil gotico delle signorine Brewster è curato quanto peculiare e le attrici stesse, con l’estrema nonchalance di chi uccide per altruismo, rendono ogni mobile, tenda e bicchiere, tenerissime prove di una scena del crimine ricca di dettagli e storie da raccontare. Così animata dalle gonne a ruota di Julia (posticipando il tempo della scrittura originale dagli anni ’40 ai ’50) e dalle ilari trovate del presidente Lee (piuttosto che Eisenhower), la scena risulta viva e accattivante, fornendo molto più di una cornice per la stravaganza delle caritatevoli assassine seriali e la loro famiglia.

Gli attori, la compagnia, la famiglia

A proposito di parenti, occorre menzionare il talentuoso trio di fratelli interpretati da Paolo Romano, Luigi Tabita e Mimmo Mignemi. Incredibili nelle movenze e nell’espressività. Riescono a gestire il palco con professionalità e stando al passo con le grandi attrici che lo caratterizzano. Giulia Lazzarini, vincitrice di un David di Donatello, e Anna Maria Guarnieri, a cui è stato conferito il premio Ugo Betti per la carriera, sono nonnine spettacolari. Immergersi nella piccola realtà che la sintonia degli attori crea in teatro è un piacere quasi nostalgico. Sembra di sentire l’odore della vecchia tappezzeria e il dolce sentore del rosolio.

La trama, lo spettacolo

Le signorine Brewster vivono a Brooklyn in una piccola casa a ridosso di chiesa e camposanto con il loro nipote Teddy, convinto di essere un vecchio presidente degli stati uniti . Vivono praticando piccole cure e atti di carità nei confronti della comunità e di chiunque si rechi da loro per un po’ di riposo o un buon pasto caldo. Il loro affezionato nipote Mortimer durante una visita alle due vecchine, realizza che il loro altruismo è andato ben oltre l’offerta di manicaretti e le brevi soste dei loro solitari ospiti sono diventate permanenti. Così dodici uomini riposano nella pace della cantina delle ziette, ma con la possibilità che si affolli sempre di più.

Lo spettacolo andrà in scena per la seconda e ultima volta stasera – domenica 14 luglio – per la conclusione del Napoli Teatro Festival 2019.

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Bando del San Carlo: arrivano chiarimenti

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In seguito alle polemiche in merito al bando del San Carlo per la ricerca della figura di un addetto stampa “senza difetti fisici”, la risposta del San Carlo non si è fatta attendere.

In un incontro tra il il segretario del Sindaco unitario giornalisti campani, Claudio Silvestri, la vice Angela Calabrese, e la sovrintendente della Fondazione teatro di San Carlo, Rosanna Purchia, quest’ultima ha così chiarito:

“Per il tanto clamore sollevato dai media per la questione dell’idoneità fisica, tanto da arrivare ad usare addirittura la parola “discriminazione”, ribadisco con forza che la Fondazione con l’espressione, vetusta da risultare forse oggi non opportuna, “esenti da difetti e imperfezioni” intende indicare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, trattandosi esclusivamente di idoneità alla mansione specifica, così come disposto dall’art. 41 del d.lgs 81/08. Peraltro è obbligatoria, prima dell’assunzione, la verifica dell’idoneità alla mansione da parte del medico competente”. “Quindi – conclude Rosanna Purchia – non si tratta assolutamente di alcuna discriminazione, che mai è stata perpetrata – e mai lo sarà – dal nostro Teatro nell’ambito delle assunzioni del personale.

La sovrintendente ha anche fatto chiarezza su un’altra questione, sempre sollevata da Claudio Silvestri. Il bando, infatti, fa appello ai “giornalisti pubblicisti”, e sembra così escludere i “giornalisti professionisti”. Ma Rosanna Purchia ha spiegato che l’ammissione alle selezioni, “si intende aperta ai professionisti iscritti all’Ordine oltre che ai pubblicisti”.

Nonostante i chiarimenti, comunque, il San Carlo provvederà entro lunedì a pubblicare ulteriori chiarimenti al bando e a prorogare di un mese i termini di iscrizione ad esso.

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Sabato di sangue: continuano gli incidenti nel napoletano

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di Raffaele Accetta- Dopo l’orribile risveglio con l’incidente che ha causato la morte di una quindicenne a Fuorigrotta (ve ne avevamo parlato qui), ieri, sabato 13 luglio, le strade del napoletano hanno continuato a macchiarsi di sangue: due gli incidenti avvenuti nella notte.

Entrambi si sono verificati a poca distanza geografica e temporale.

Il primo si è registrato a Licola, nei pressi di via S.Nullo, intorno all’1:00.  Due autovetture sono state ritrovate in pessime condizioni: una si trovava pericolosamente gli inizi di un burrone. Secondo quanto riporta il sito d’informazione InterNapoli l’incidente sarebbe avvenuto uno scontro tra un’auto e i veicoli degli operai che effettuando i lavori sulla Strada Statale.  Sul posto sono accorsi carabinieri ed autoambulanza e si sono, naturalmente, creati pesanti rallentamenti nella circolazione.

Pochi minuti nei pressi di Arco Felice, Pozzuoli, il secondo sinistro stradale.  Questa volta a causarlo sarebbe stato il tentato sorpasso in condizioni sfavorevoli di un ragazzo in sella ad una moto. Per sviare  il veicolo, il centauro – cadendo dal mezzo – ha subìto una grave frattura alla gamba. Nella paura iniziale, colui che ha effettuato il sorpasso è scappato, ma poi, tra gli insulti della folla arrivata, ha deciso di tornare sui suoi passi e soccorrere il giovane ormai in gravi condizioni sull’asfalto. Anche in questo caso sono poi giunti sul posto carabinieri ed autoambulanza.

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Leggende della Campania: Giovanna la pazza e i suoi amanti senza riposo

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Questa settimana #BussoLaLeggenda vi racconta la storia peccaminosa della regina più lussuriosa che Napoli abbia mai avuto: Giovanna II. Stando alle leggende, condivise il letto con decine di uomini, uccidendone altrettanti.

La storia ci racconta che sopravvisse ad un marito e ne spodestò un secondo, amò un solo uomo con cui visse una storia di turbolenta passione, non rinunciando mai ai suoi amanti. E, nel frattempo, distrusse anche una roccaforte longobarda…

Alcuni riferiscono che siano dei bisbigli, altri dicono che si tratti di vere e proprie urla. Voi le avete mai sentite? Dicono che si possano udire sul lungomare, lungo la riviera di Chiaia, trascinate dal vento fino a Mergellina.  La leggenda vuole che siano le voci degli amanti di cui la Regina Giovanna la pazza s’era stufata, quelli che aveva oramai già sedotto e con cui non voleva più intrattenersi. Sono le grida di quelli che la regina considerava come giocattoli vecchi e che uccideva senza alcuna pietà – tra le onde ed i sampietrini s’incastrano le loro voci senza riposo e così tra suggestione e maledizioni la loro leggenda arriva fino a noi.

Giovanna II di Napoli

Giovanna II di Napoli apparteneva alla dinastia d’Angiò-Durazzo, e divenne regina del Regno di Napoli  dopo la morte del fratello Ladislao I, morto senza avere eredi legittimi.

Come il fratello non ebbe figli, ma ben diversa fu la fama dei due: se Ladislao I venne detto “Il Magnanimo“, Giovanna passò alla storia come “Giovanna la pazza”, “Giovanna l’Insaziabile”, “Giovanna la dissoluta”. Le leggende che accompagnano ancora oggi la sua figura sono numerosissime, tutte scandalose e crudeli.

Intrighi (tra) reali

Come spesso accade, alla base delle leggende riguardanti Giovanna II c’era un fondo di verità. Gli intrighi per la conquista e il mantenimento del potere alla corte di Napoli mostrarono a tutta la nobiltà, napoletana e non, la personalità della regina: assetata di potere, molto intelligente e ben decisa a mantenere il ruolo acquisito, si rivelò sin dall’inizio del suo regno anche lussuriosa e lucidamente impietosa.

Quando salì al trono Giovanna II aveva già 41 anni ed era vedova del primo marito, Guglielmo d’Austria, morto dopo appena cinque anni di matrimonio. Non appena indossò la corona, la regina Giovanna iniziò una nuova tradizione, quella dei favoriti della regina: si trattava di  una schiera di uomini di grande influenza negli affari del regno  e che, spesso, intrattenevano con lei delle relazioni sentimentali.

Per scongiurare la rivendicazione al trono di altri esponenti della famiglia d’Angiò, Giovanna contrasse un nuovo matrimonio con l’intenzione d’avere un figlio e dunque un erede maschio legittimo. Il 10 Agosto 1415 sposò Giacomo II di Borbone, duca delle Marche. La regina negò a Giacomo II il titolo di re, dandogli esclusivamente il titolo di principe di Taranto e duca di Calabria, ma questi reagì uccidendo uno dei favoriti della regina, Pandolfello Piscopo, e sostituendo gli uomini di Giovanna con dei suoi funzionari francesi.

La regina fu così costretta a riconoscergli il titolo di re, ma la nobiltà napoletana fedele agli Angioini insorse contro Giacomo II, che fu costretto a rinunciare al titolo ed anche a ritirare i suoi funzionari. L’ex-re abbandonò Napoli, ed è in questo periodo che Giovanna II inizia l’unica relazione di (forse) vero amore della su vita, quella con Sergianni Caracciolo. Giacomo fuggì in francia, dove divenne un monaco francescano e lo rimase fino alla morte, avvenuta appena tre anni più tardi.

Passione, potere e pugnali

Sergianni Caracciolo fu il più celebre e il più amato degli uomini di Giovanna II. La relazione tra i due iniziò quando l’uomo era già sposato con la nobile Caterina Filangieri, che gli diede un figlio e quattro figlie.

La relazione tra Sergianni e Giovanna fu indubbiamente tumultuosa. I due erano spesso in disaccordo e leggendari divennero tanto i loro litigi quanto le notti di passione.

Tra i favoriti della regina Sergianni Caracciolo, che possedeva già il titolo di Principe di Capua, Gran Connestabile e Gran Siniscalco del regno di Napoli, fu quello che più influenzò la Giovanna II e le sorti del suo regno. Nei fatti fu infatti lui a portare alla rottura tra la regina e papa Martino V, lui a convincere la regina a togliere il titolo di erede ad Alfonso V di Aragona ed a darlo invece a Luigi III d’Angiò, suo alleato, aumentando di fatto il proprio potere ed il proprio prestigio.

Il potere però, con gli anni, parve consumare Sergianni: nulla pareva mai bastargli. E più aumentava la sete di potere di Caracciolo più diminuiva l’amore della regina che, consigliata dalla sua corte ed in particolare dalla cugina Covella Ruffo, ormai stanca di assecondare le richieste dell’uomo che aveva tanto amato, congiurò contro di lui. Caracciolo venne ucciso con venti pugnalate da alcuni sicari il giorno del matrimonio del figlio.

Pur conoscendola tanto bene, aveva sottovalutato Giovanna II: avrebbe dovuto sapere che non perdonava mai nessuno e che per lui non avrebbe certo fatto alcuna eccezione. Sin dall’inizio Giovanna era stata tanto appassionata quanto spietata e rimase fedele a se stessa fino alla morte, anche se a caro prezzo: si dice infatti che la regina, che visse per appena due anni dopo l’omicidio di Caracciolo, fosse tormentata dai rimorsi e che ogni notte il suo sonno venisse infestato da terribili incubi riguardanti l’amato.

Botole e Fantasmi

Se la storia ci consegna già l’immagine di una donna crudele ed impietosa, spietata ed assetata di potere, le leggende che riguardano Giovanna II aggiungono particolari decisamente più inquietanti.

Giovanna non si sarebbe limitata a rapporti sentimentali e sessuali con quei prediletti che l’aiutavano ad amministrare il regno, ma avrebbe invece condotto tra le sue lenzuola decine, centinaia di uomini. Uno diverso per ogni notte, si dice, e di qualsiasi ceto sociale: non solo nobili, ma anche popolani e persino lazzari. 

Giovanna l’insaziabile, una donna lussuriosa che non metteva alcun freno alle proprie voglie, che aveva il potere per avere tutto ciò che desiderava con chiunque desiderasse, e che non esitava ad usare la propria autorità e ricchezza per soddisfare qualsiasi suo capriccio. Tutti gli uomini del regno, nel caso lei li avessi voluti nel suo letto, sarebbero dovuti essere a sua disposizione.

Della bella e intelligente Giovanna però le storie non dicono solo che fosse insaziabile e lussuriosa, ma che fosse anche pazza. Si dice che come una vera mantide religiosa uccidesse gli uomini e i ragazzi con cui aveva voluto giacere. Sembra che nel Maschio Angioino, castello dove Giovanna consumava i suoi amplessi, ci fossero delle botole nelle quali la regina avrebbe fatto cadere gli amanti che le erano venuti a noia e di cui non aveva più bisogno. I malcapitati uomini cadevano – alcuni dicono in mare, altri dicono in un fossato dove sarebbero stati divorati da un coccodrillo portato lì dall’Africa proprio a questo scopo. C’è persino chi dice che, alla fine delle botole, vi fossero dei mostri marini.

La regina, liberatasi del suo vecchio giocattolo, ricominciava il suo gioco: sceglieva un uomo che le accendesse per qualche ragione il desiderio, lo consumava tra le lenzuola e poi, con le sue botole, lo uccideva.

La leggenda, già terribile, non si ferma qui: gli spiriti degli amanti, uccisi in un modo tanto imprevedibile e violento, vagano ancora nel castello del Maschio Angioino. Il vento porta le loro grida di morte fino a Mergellina, dove i passanti, a volte, giurano d’averli sentiti. Altri dicono invece che questi spiriti sussurrino il nome della regina, piangendo ed implorando pietà. Per loro non sembra esserci pace né riposo – la regina pazza, oltre la vita, sembra aver rubato loro anche quello.

Sebbene forse non sia a questi spiriti di alcun conforto, pare che anche Giovanna non abbia abbandonato questa terra. Si dice che il suo fantasma vaghi ancora sulla terra, disperata per aver ucciso Sergianni, a Rocca Arquata del Tronto, dove era solita trascorrere il periodo estivo. Se sarete abbastanza sfortunati, se passate da quelle parti forse riuscirete a vederlo.

La torre

Le leggende e le storie che riguardano questa regina non si fermano alla sua morte. Pare infatti che, quand’era ancora in vita, la regina abbia distrutto un’intera città, la roccaforte longobarda e sede vescovile di Satrianum.

Una dama di compagnia della regina nota per la sua incredibile bellezza, infatti, mentre si dirigeva verso Napoli (in alcune versioni della leggenda verso Salerno) venne rapita. La regina non tollerò l’affronto subito ed ordinò la distruzione di Satrianum, che venne rasa completamente al suolo tranne che per una torre di origine normanna.

Pare che tuttavia Satrianum non sia stata distrutta solo per via del rapimento della dama, ma anche per gelosia: uno degli amanti della regina, un baronetto, sembrava aver preferito a Giovanna una dama di nome Seal. La regina non poteva sopportarlo e così, tornata alla propria corte, avrebbe ordinato di distruggere Satrianum. E, come sempre, il suo desiderio venne esaudito.

La regina Giovanna II è forse una delle donne più pericolose che Napoli abbia mai ospitato, e la sua crudeltà e lussuria hanno generato leggende non meno spaventose della realtà. Dopo centinaia di anni i fantasmi dei suoi amanti continuano a gridare e forse, anche se non credete a queste storie, la prossima volta che visiterete il Maschio Angioino fareste bene a guardare dove mettete i piedi. Se ci sono state, le sue botole saranno ancora lì ad aspettare di farvi inciampare. Dopo tutti questi anni, i mostri marini della regina saranno affamati…

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Per le altre leggende della Campania:

BussoLaLeggenda I : Da dove nascono le Janare? 

BussoLaLeggenda II : Il fantasma del Caffè Gambrinus

BussoLaLeggenda III: La maledizione della Gaiola

BussoLaLeggenda IV: La Strega del Vesuvio

BussoLaLeggenda V: La Tomba di Dracula

BussoLaLeggenda VI: L’amore tra Posillipo e Nisida

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