martedì, Agosto 5, 2025
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Crisi rifiuti a Napoli, fra Vico Piscicelli e il Municipio

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La tanto temuta Crisi Rifiuti è arrivata, nonostante il piano messo in atto dalla Regione per prevenirla: riportiamo due dei luoghi più colpiti di Napoli, ma ovunque, che sia in centro o in periferia, la situazione sta peggiorando e a molti ricorda tristemente l’emergenza del decennio passato.

Il degrado di Vico Piscicelli

Al centro storico c’è un vicolo reso inaccessibile dai rifiuti: a vico Piscicelli non si passa più a causa dei cassonetti stracolmi e degli ingombranti sparsi su entrambi i lati della strada. La denuncia arriva dai tanti cittadini della zona, che non hanno tardato a pubblicare delle foto del degrado sui social. C’è molta varietà, sulla strada: materassi, biciclette, scatoloni, sedie e dulcis in fundo tre bidoni, da cui trasbordano i sacchetti di immondizia hanno reso impraticabile il passaggio nel vicolo.

I residenti denunciano la crisi  sulla pagina Facebook del gruppo Rinascita di Forcella, dove hanno richiamato le istituzioni al loro dovere nel post assieme alle foto “incriminanti”: “ma vorrei capire i consiglieri di municipalità cosa fanno per questo quartiere?” “Come può essere che nessuno faccia niente?” “Sta così da una settimana“, sono i commenti della pagina fatti dai cittadini delusi. La mancata rimozione di rifiuti ordinari e straordinari dalle strade e dai vicoli del centro storico, come anche nelle periferia, sta diventando una vera e propria emergenza. Considerando che siamo nel mese d’Agosto, il rischio di infezioni a causa del deterioramento dei rifiuti non è da sottovalutare.

La crisi a Piazza Municipio

Nel secondo giorno di raccolta straordinaria dei rifiuti, dopo che Asia (Azienda servizi di igiene ambientale) ha ammesso le difficoltà in città, c’è un’immagine (in cima all’articolo) che fotografa la crisi di questi giorni: sacchetti neri, buste di plastica e addirittura un cassetto di legno abbandonati accanto ai contenitori della differenziata in piazza Municipio. Sullo sfondo Palazzo San Giacomo, la sede del Comune. Uno dei luoghi più importanti della città, attraversato da cittadini e turisti giorno e notte.
Non superiamo le 30 tonnellate“, risponde l’azienda municipalizzata alla domanda di quanta immondizia ci sia per strada in città. Anche il prelievo della differenziata pare non girare a pieno regime, vista la quantità di sacchetti sparsi in giro.

Il resto della città

C’è ancora molta immondizia a via Posillipo e nelle strade limitrofe come via Belsito e largo Sermoneta. Allo stesso modo nel salotto buono di Chiaia: sacchetti neri lasciati a marcire in via Fiorelli. Quattro contenitori gialli per plastica e metalli strapieni accanto alla stazione dei carabinieri di largo Ferrandina.
Bustoni di rifiuti ad angolo anche a via Epomeo, nei pressi degli uffici dell’Anagrafe del Comune. Situazione tragica tra viale Adriano e Rione Traiano. Ingombranti a profusione anche nell’area orientale. “Gran parte dei rifiuti di questi giorni sono accatastati nei soliti siti di sversamento selvaggio“, spiega l’Asia: ma è la debolezza del sistema campano che impedisce alla crisi di cessare una volta e per tutte. Stir e impianti intermedi troppo pieni di balle che dovrebbero essere, invece, mandate più velocemente verso l’inceneritore di Acerra e agli impianti fuori regione. Per fare spazio così ai rifiuti in entrata appena raccolti dalle strade. È stato lo stesso amministratore di Asia Francesco Iacotucci a denunciare che “i nostri camion restano in fila davanti agli stir anche più di 36 ore, sottraendo così uomini e mezzi necessari per la raccolta“.

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Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta: Culti, miti e leggende tutte napoletane

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Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta: il complesso Lapis Museum, rafforza la sua potenza identitaria grazie alla mostra “Sacra Neapolis. Culti, miti e leggende”. Ecco la storia che l’imponente Basilica racconta.

La settimana scorsa abbiamo visitato la Chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta. L’imponente Basilica che sorge nel cuore del centro storico di Napoli, ospita da alcuni mesi la mostra organizzata da Arthemisia sul maestro Chagall e non abbiamo potuto fare a meno di andarci (ve ne abbiamo parlato qui).  Questo ci ha permesso di scoprire un vero tesoro della nostra magnifica città e non abbiamo potuto fare a meno di ritornarci per conoscere meglio l’immensità di questo simbolo d’arte e cristianità, anche se ciò che rappresenta e ciò che “racconta” va anche al di là di questo.

LA FONDAZIONE

Si tratta della più antica costruzione sacra napoletana dedicata alla Madonna, si trova a due passi da San Domenico Maggiore e da Via dei Tribunali e fu costruita nel 553 d.c. per volontà del Vescovo di Napoli, Pomponio, proprio dove un tempo sorgeva il tempio sacro dedicato al culto della dea Diana, riservato esclusivamente alle donne, che la invocavano per non avere complicazioni durante il parto. Gli uomini tolleravano poco il suo culto poiché molte ragazze, per evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea e offrirle la propria castità. Le sacerdotesse furono, infatti, chiamate spregiativamente Dianare o Janare.

In epoca Paleocristiana, queste donne furono accusate di stregoneria e bandite dalla città e probabilmente, da qui nasce la leggenda del Diavolo-maiale legata alla costruzione della Basilica della Pietrasanta. Si racconta che il Vescovo Pomponio decise di far edificare la chiesa dopo che la Vergine Maria gli apparve in sogno chiedendogli di costruire un santuario per contrastare la presenza del diavolo che presa la forma di maiale, compariva tutte le notti,  spaventando con il suo grugnito infernale i residenti (secondo cui si trattava di una vendetta delle donne tacciate di stregoneria). Si dice che con l’edificazione della Basilica, questo animale spaventoso sia scomparso per sempre.

Questa storia spiegherebbe anche la presenza di iscrizioni e simboli misteriosi presenti sul Campanile della Basilica, di epoca romana: una delle più antiche torri campanarie d’Italia. Sul Campanile si possono notare alcune piccole sculture in marmo, rinvenute durante gli scavi sul tempio di Diana, rappresentanti teste di suino che fanno palese riferimento alla leggenda del diavolo-maiale e alla Festa della Porcella (celebrata fino al 1625). Secondo la tradizione, durante questa festa, l’abate della Basilica di Santa Maria Maggiore uccideva presso il Duomo di Napoli, una grossa scrofa offerta dai fedeli (simbolo del male) e donava la porchetta all’Arcivescovo (il bene che sconfigge il male).

Il nome Pietrasanta invece, secondo alcuni deriverebbe da una porzione di roccia su cui era stata scolpita l’immagine della Madonna, trovata da Pomponio nel posto in cui stava per sorgere il santuario a lei dedicato. Secondo altri farebbe riferimento a una pietra (mai rinvenuta), forse in marmo, su cui era incisa una croce e custodita nella chiesa: pare che chiunque la baciasse, avrebbe ottenuto l’indulgenza da tutti i peccati. Un’altra ipotesi lega la Basilica ai Templari, perché si dice che nei sotterranei siano celati segni e iscrizioni legati al mito dei Cavalieri seguaci del culto della Madonna Nera. Tante leggende e supposizioni a cui al momento non è possibile dare fondo. L’unica certezza è che la Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta è la prima costruzione sacra dedicata alla Vergine Maria, di epoca paleocristiana, su cui convergono epoche storiche diverse.

Attualmente la Basilica ospita la mostra da non perdere, “Sacra Neapolis. Culti, miti, leggende”; un’esposizione “identitaria” che permette di capire le radici della complessa e millenaria stratificazione e del patrimonio immenso della nostra bella città e soprattutto della Basilica stessa. Dal Museo Archeologico Nazionale (MANN), sono stati scelti reperti della collezione dedicata a Napoli antica e per la prima volta sono esposti al pubblico proprio per raccontare la storia della Neapolis greco-romana, dei miti, dei culti, delle manifestazioni del sacro e della religiosità antica.

PARTHENOPE, NEAPOLIS, PALEPOLIS

È importante, infatti, capire le origini storiche della Basilica e della zona in cui è sorta. Le antiche fonti letterarie riferiscono della presenza di due città: Parthenope e Neapolis. La prima più antica, fondata dai Greci cumani nell’ VIII secolo a.C. sulla collina di Pizzofalcone, prende il nome dalla sirena Parthenope che secondo la leggenda, si gettò in mare insieme alle sue sorelle (Leucosia e Ligea) dopo che Ulisse riuscì a resistere al loro canto. Il corpo della sirena giunse sull’isolotto di Megaride, attualmente occupato dal Castel dell’Ovo. Alla fine del VI o all’inizio del V secolo a.C. fu fondata una nuova città, Neapolis, che divenne una delle più illustri della Magna Grecia.

Già dalla fine del IV secolo a.C. la città entrò nella sfera d’influenza di Roma, con la quale fu sancita un’alleanza. Nel I secolo a.C. divenne municipium romano. Nonostante la romanizzazione, la città mantenne istituzioni e rituali religiosi greci e, soprattutto, continuò ad usare la lingua greca, impiegata anche per le iscrizioni e i monumenti pubblici fino all’età imperiale.

Neapolis fu fondata alla fine del VI secolo a.C. su un promontorio tufaceo affacciato sul mare situato a nord est della più antica Parthenope che, da questo momento, muterà il suo nome in Palepolis (città vecchia). L’impianto urbano di Neapolis risale all’incirca alla metà del V secolo a.C. ed è costituito da tre larghe strade (decumani) parallele al mare con andamento est-ovest, intersecate da strade più strette (cardi) orientate nord-sud. Tale impianto, detto per strigas, è ben riconoscibile nel tessuto del centro storico di Napoli.

Al centro della città, nell’area che va da Piazza San Gaetano fino alla chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, si estendeva l’agorà. L’immensa piazza era il cuore pulsante dell’antica città, sede di edifici pubblici, religiosi e del mercato cittadino. Di questi edifici rimangono il Tempio dei Dioscuri, incorporato nella chiesa di San Paolo Maggiore, il Teatro romano, l’Odeon e il Macellum, visibile sotto il complesso di San Lorenzo Maggiore. Del tracciato dell’agorà, oggi ricostruibile, sono visibili alcuni tratti a Piazza Bellini, a Piazza Cavour e a Piazza Calenda, dove si conservano i resti della porta Furcillensis e di una torre inglobata nel Teatro Trianon.

Molti sono stati i ritrovamenti che mostrano le diverse epoche e stratificazioni: strutture di epoca romana si trovano in un altro vano ipogeo della basilica, nell’area compresa tra il transetto e la navata centrale. Si tratta probabilmente dei resti di una lussuosa domus, di cui si conservano alcune murature e preziosi pavimenti a mosaico.  L’opera reticolata (opus reticulatum o reticolatum) è una tecnica edilizia romana usata per realizzare un paramento livellato e regolare di un muro in opera cementizia.

RITROVAMENTI

Nella Basilica è presente anche un ossario di epoca tardo-seicentesca posto sotto le scale di accesso alla Basilica. Si tratta di una piccola cripta destinata alla deposizione dei morti, raggiungibile attraverso un piccolo pozzo cui si accedeva direttamente dalla scalinata esterna della Basilica grazie a un gradino rimovibile che fungeva da botola. Le ridotte dimensioni del pozzo permettono di ipotizzare che la struttura fosse legata alla deposizione di bambini nati morti o deceduti subito dopo la nascita, come si evince dai numerosi resti di piccoli scheletri ritrovati in questo ambiente.

Il suo sottosuolo poi, è di estrema rarità ed è ricco di storia: racconta che i fitti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale segnarono uno spartiacque nella vita del mondo del sottosuolo e ne alterarono le antiche funzioni, infatti, le cavità era usate dai “pozzari” che permettevano l’uso dell’acqua alla popolazione intera. L’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) chiese agli ultimi “pozzari” napoletani (un mestiere antico e in fase di “estinzione” visti i cambiamenti tecnologici che il nuovo secolo aveva portato), di identificare le zone che meglio di altre si prestavano all’accoglienza dei civili e realizzò, per la prima volta nella storia del sottosuolo napoletano, delle scale che permettessero il facile accesso alle cavità.

Furono inoltre allestiti impianti elettrici collegati a generatori, bagni, cucine e tutto il necessario. L’elenco ufficiale dei ricoveri redatto dall’UNPA il 30 aprile del 1939 prevedeva la realizzazione di circa 430 ricoveri antiaerei, di cui almeno 350 nelle cavità dell’acquedotto greco-romano. Dai documenti ufficiali si può ipotizzare che circa 700.000 napoletani potevano ripararsi in pochi minuti. L’UNPA eseguì anche opere di chiusura di numerosi cunicoli “morti” o non utilizzabili e ne allargò altri per consentire l’agevole passaggio delle persone. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la città di Napoli, nonostante abbia subito il maggior numero di bombardamenti, ebbe il più basso numero di vittime grazie al suo sottosuolo.

Ricordiamo infine che nel Lapis Museum, è possibile anche vedere in tempo reale l’attività vulcanica campana grazie a un collegamento con l’istituto di vulcanologia. La Basilica è stata, infatti, luogo di ritrovamenti rocciosi di origine vulcanica. Non mancano anche altre attività interattive che potenziano il percorso del complesso museale.

Ischia, muore a sedici anni travolto da un’auto: la guidatrice aveva già ucciso

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Muore investito sul ciglio di una strada di Ischia un sedicenne. La guidatrice che lo ha travolto era già stata coinvolta in passato in un grave incidente che aveva portato alla morte di un carabiniere. Al vaglio dei carabinieri le dinamiche dell’accaduto. Scoppia la polemica.

L’incidente

L’incidente, avvenuto sabato, si è verificato lungo una strada a scorrimento veloce di Ischia dove si sono verificati, nel corso degli anni, numerosi incidenti mortali.

Secondo i primi accertamenti, il sedicenne sarebbe morto sul colpo, travolto da una macchina di marca Peugeot. L’automobile sarebbe sfuggita al controllo della guidatrice durante una curva, invadendo l’altra corsia. L’auto che ha ucciso il giovane percorreva dunque la strada  nel senso opposto a quello di marcia.

A Napoli verrà effettuata sulla salma del ragazzo un’autopsia, in attesa della quale il corpo è stato posto sotto sequestro.

Sono giunte parole di cordoglio da parte del Sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino.

I protagonisti dell’incidente

La guidatrice è una donna di quarant’anni, italiana, che risiede ad Ischia Porto.

Già nel 2012 la donna, che ora è agli arresti domiciliari con l’accusa di omicidio stradale, era stata coinvolta in un caso analogo; all’epoca morì un carabiniere.

La donna è risultata negativa  a tutti i test effettuati dalla polizia: non aveva assunto alcool o droghe.

La vittima è un turista giovanissimo, un sedicenne di origine albanese che si trovava ad Ischia per far visita alla sorella, che risiede sull’isola. Il suo nome era Velsami Xhemal. 

La polemica

Questo triste caso di cronaca ha scatenato qualche polemica per lo scarso risalto dato alla notizia da parte di giornali, televisioni e mezzi di comunicazione in generale.

La vicepresidente degli affari sociali alla camera Michela Rostan (LeU) ha scritto a riguardo sul proprio profilo facebook:

Ischia un giovane sedicenne è stato investito da un’automobilista ed è morto. Una tragedia, come tante accadono lungo le nostre strade, che ha avuto un blando risalto nelle cronache locali dei giornali.

Solo leggendo l’articolo, scopriamo due cose. Il ragazzo era albanese, in visita presso la sorella per le vacanze estive. L’investitrice è italiana e appena sette anni fa aveva investito e ucciso un carabiniere.

Vogliamo immaginare la portata e l’impatto mediatico della stessa notizia, a parti invertite?L’investitore albanese che pochi anni prima aveva ucciso un carabiniere e la vittima italiana?

Io credo che le vittime, italiane o straniere che siano, meritino da parte di tuttinoi la stessa considerazione e quell’attenzione, quel sentimento di umanità che è umano rivolgere a chi perde la vita in circostanze drammatiche. 

Al tempo stesso, gli assassini, italiani o stranieri che siano, restano tali e così devono essere giudicati e puniti per ciò che hanno commesso.

Tutto il resto è squallida retorica razzista, intolleranza allo stato puro. E le responsabilità del clima d’odio che avvelena il Paese in questo momento sono tante e diffuse.

A partire da chi ha ruoli istituzionali, fino ad arrivare a chi ha la responsabilità di fare informazione deontologicamente corretta, al buon senso che ciascuno di noi dovrebbe avere nella comunicazione con il prossimo. Specie quella digitale!

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Rissa in spiaggia tra due donne: litigavano per un uomo

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Salerno, zona est: in una spiaggia tra Mercatello e Pastena, due donne hanno iniziato ad insultarsi, per poi passare alle mani.

Il motivo della rissa in spiaggia tra le due donne? Un uomo, a quanto pare conteso da tempo. Una era l’ex moglie, l’altra la nuova compagna.

I presenti alla rissa di ieri pomeriggio hanno inizialmente provato a dividere le due donne, ma invano. Successivamente dunque hanno chiamato la polizia, necessaria per porre fine al litigio, causato probabilmente da questioni passate e irrisolte tra le due donne.

Nessuna conseguenza, solo tanta tensione e…un poco di sana ironia! I molti bagnanti presenti infatti hanno ben pensato di trasformare l’accaduto in una sfida alla sorte, trasformando la rissa in spiaggia in numeri da giocare al lotto!

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Picco di rapine: ai clan serve fare cassa

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Bande di giovanissimi, all’ombra della camorra, hanno commesso numerose rapine ai danni soprattutto di automobilisti e negozianti nella zona nord di Napoli.

La polizia ha recentemente registrato un picco di rapine e di raid, causati da una o più bande di giovanissimi, dopo che le pistole della camorra della zona nord di Napoli hanno smesso di sparare.

Si tratta probabilmente della diretta conseguenza di quanto avviene ai “piani alti” della criminalità organizzata: siamo dunque davanti a fenomeni di microcriminalità.

Un investigatore ha infatti affermato che quando i vari clan smettono di sparare, è perché devono fermarsi e capire come poter recuperare soldi. I giovanissimi criminali, autori di un tale picco di rapine, potrebbero dunque agire all’ombra della camorra.

Le dinamiche dei colpi sono sempre le stesse e a subirli sono soprattutto gli automobilisti, nello specifico i conducenti di auto di marca italiana o di scooter Honda e Piaggio.

Approfittando dei tratti in cui la strada si restringe o del semaforo che ferma il mezzo di trasporto, i gruppi di criminali commettono il colpo.

Anche i negozianti non sono immuni dalle rapine. Il titolare di un supermercato della zona afferma:

«Alcuni mesi fa ho subito una rapina nel mio negozio e da allora la clientela si è dimezzata».

Bisogna dunque fermare i colpevoli, non solo per smettere di seminare paura, ma anche per salvaguardare l’economia di quelle zone del napoletano. Finché sono i più giovani ad essere colpevoli di questi reati, forse si è ancora in tempo anche a salvare loro.

In effetti, per dirla con le parole del professor Bellavista:

«Ma tutto sommato, nunn’è che fate na vita ‘e m****? […] Ma vi siete fatti bene i conti? Vi conviene?»

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Battipaglia, rogo domato ma c’è l’allarme Diossina

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Il Rogo di Sabato

Risale a ieri la fine del rogo che ha distrutto il deposito di Ecoballe della New Rigeneral Plast a Battipaglia. Sono ingenti i danni ambientali, nonostante l’intervento degli infaticabili vigili del fuoco, intervenuti sin dal mattino per mettere sotto controllo le fiamme. Assieme a loro è intervenuta la Protezione Civile e due mezzi aeroportuali giunti da Napoli e Bari che hanno reso possibile domare l’incendio. Hanno aiutato anche autobotti inviate dai comandi di Avellino e Caserta, la squadra Nbcr di Napoli (specializzata in disastri ambientali), i mezzi di movimento terra dal comando di Benevento e la famiglia Adinolfi, che ha fornito ulteriori mezzi per smuovere le ecoballe per estinguere gli ultimi punti caldi.

Il rogo in sé non è più un tema rilevante: sono i danni ambientali che preoccupano gli abitanti di Battipaglia. Si tratta del quarto incendio in tre anni, per cui c’è un giusto timore fra la popolazione per la quantità di Diossina rilasciata. Già sabato pomeriggio, in via Filigalardi, era presente il direttore dell’Arpac Gianluca Scoppa. Nella serata di ieri è arrivata un’unità di monitoraggio della qualità dell’aria per meglio comprendere l’impatto ambientale dell’incendio. I primi risultati dovrebbero arrivare fra stasera e domani.

Fra i cittadini intanto sono già scoppiate le proteste, sin da sabato sera: capeggiati dall’ex-portavoce del Comitato “Battipaglia dice NO” Raffaele Petrone, tornato per l’accaduto, gli ambientalisti hanno richiesto le dimissioni dell’Assessore all’Ambiente Carolina Vicinanza. Presente l’Onorevole Francesco Conte, che ha proposto l’istituzione di una Commissione di Governo per la gestione dell’Emergenza della Piana del Sele. Il Consigliere Egidio Mirra, invece, ha asserito che porterà nel consiglio di Mercoledì una mozione di sfiducia verso l’Amministrazione.

Il Sindaco Cecilia Francese ribadisce il proprio impegno: “Ho chiesto anche io un intervento del ministro, del resto già a Giugno avevamo interessato della questione la Provincia e la Regione. Non accetto accuse, perché abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare. Anzi, ringrazio quei sindaci che mi sono a fianco in questa battaglia, perché siamo soli ad affrontare questa emergenza“.  La prima cittadina ha inoltre confermato la denuncia nei confronti dei legali rappresentanti della New Rigeneral Plast sotto incarico dell’avvocato comunale Carla Concilio. In giornata il Comitato “Battipaglia dice NO” potrebbe redarre un documento contenente le azioni da eseguire nelle prossime settimane in reazione al rogo.

Reazioni nella Politica

Rogo che ha destato numerose polemiche e reazioni fra entità e persone di grosso spessore: i senatori Maurizio Gasparri, Antonio Iannone e Gigi Casciello si sono mossi alla svelta ad incolpare l’amministrazione di centrosinistra del comune. La Fp Cgil ha chiesto un intervento del procuratore nazionale antimafia. Confagricoltura Salerno ha criticato il rimbalzo delle responsabilità fra il Comune e la Provincia, infine Legambiente Campania ha parlato di un’ “epidemia di incendi“.

Il fatto di cronaca è riassunto efficacemente dalla Protezione Civile di Battipaglia: “Nel primo pomeriggio di ieri – affermano gli operatori – le nostre squadre antincendio sono state impegnate nelle azioni di spegnimento di un incendio e di alcune sterpaglie e canneti nelle vicinanze. Le nostre squadre antincendio, dotate di tutti i DPI, sono intervenute insieme alle squadre della Protezione Civile Eboli, ed in collaborazione con i Vigili del fuoco dei distaccamenti di Eboli, Salerno, Caserta, Giffoni, Napoli e Avellino, domando le fiamme sviluppatesi all’interno delle ecoballe presenti nella struttura. Le operazioni, iniziate nel primo pomeriggio sono durate tutta la notte, sono state lunghe e complesse, tuttavia le fiamme sono state domate e le squadre dei Vigili del fuoco per tutta la domenica hanno continuato a gettare incessantemente acqua per raffreddare il sito e completare la bonifica con la copertura con la sabbia delle ecoballe. Sul luogo presenti anche la Polizia Municipale di Battipaglia, Polizia di Stato e Carabinieri”.

Tra le reazioni c’è quella del gruppo ‘Bellizzi in Movimento‘: “L’ennesimo rogo delle ecoballe nella zona industriale di Battipaglia, oltre al danno delle zone agricole limitrofe per il deposito delle ceneri sul terreno, ha sprigionato particelle tossiche che vengono inalate non solo dagli animali degli allevamenti ma anche dai cittadini di tutto territorio. Un anno fa il Ministro Costa aveva chiesto al ministro Salvini di considerare i siti di stoccaggio dei rifiuti in Italia come ‘sensibili’, cioè siti che possano entrare nel piano coordinato di controllo del territorio, gestito da ogni Prefettura con l’ausilio di tutte le Forze dell’Ordine, per un aumento di controllo preventivo per, quindi, ‘dare un’ulteriore garanzia preventiva al cittadino ma anche all’imprenditore’. Ma non ci risultano sensibilizzazioni o iniziative in tal senso. Noi attivisti ‘Bellizzi in Movimento’ nel denunciare questi episodi chiediamo alle amministrazioni Comunali del territorio iniziative atte alla salvaguardia della salute pubblica in sinergia con tutti gli organi regionali stigmatizzano qualsiasi promesse espresse senza alcuna soluzione concreta”.

Il deputato di Fratelli d’Italia, Edmondo Cirielli, afferma sulla questione: “Presenterò un’interrogazione urgente al ministro dell’ambiente Sergio Costa. È opportuno verificare il rispetto da parte delle aziende e degli organi tenuti al controllo delle procedure di sicurezza. Il sindaco in maniera particolare è l’autorità competente a verificarlo. Per il terzo anno un incendio si sviluppa in un’area industriale, provocando danni incalcolabili all’ambiente e alla salute delle comunità locali. E’ giunto il momento di adottare provvedimenti seri per tutelare la popolazione locale, accertando responsabilità e inadempienze da parte delle istituzioni”.

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Mega colpo all’IKEA di Afragola sventato dall’istituto di vigilanza Prestige

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E’ stato sventato dalle guardie giurate dell’istituto di vigilanza Prestige il colpo pianificato da 5 uomini al centro commerciale IKEA di Afragola.

Dalla ricostruzione dei fatti emerge che uno degli uomini addetti alla vigilanza interna ha notato, dai monitor di sorveglianza che 5 uomini avevano scavalcato il muro di cinta verso mezza notte e un quarto e stavano muovendo verso l’edificio.

Il vigilante ha subito allertato i carabinieri e una pattuglia che era impegnata nel giro di perlustrazione. Arrivati i rinforzi, hanno bloccato due dei cinque malviventi e li hanno consegnati alle forze dell’ordine., mentre gli altri 3 sono riusciti a fuggire.

Complimenti sono arrivati direttamente dal leader associazione guardie particolari giurate, il  sindacalista napoletano Giuseppe Alviti che ha ancora una volta messo in evidenza l’utilità per la collettività dell’apporto delle guardie giurate nella sicurezza complementare e sussidiaria facendo ancora un appello a Salvini prima dell’incontro del 15 agosto a Caste Volturno

 

De Magistris sposa la battaglia dei 5 Stelle sui Navigator

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Per alcuni sono le prove generali dell’intesa che porterà alla coalizione tra DeMa e 5 Stelle in campania alle prossime regionali, uniti contro De Luca, per altri semplicemente una questione di priorità.

Fatto sta che lascia intendere molto la presa di posizione di De Magistris sul caso Navigator, che dichiara:

Negare la contrattualizzazione ai navigator è montare un capriccio politico su una montagna di sabbia. Si tratta di un grande errore mediatico perchè i navigator sono pagati per un pezzo del reddito di cittadinanza. Niente a che vedere con il potenziamento dei centri per l’impiego per cui ci sono abbondanti risorse a parte che stanno per essere ripartite tra le Regioni”. 

Sulla questione De Magistris aggiunge: 

“E’ arrivato il momento di dire basta al giochino che tiene sotto i precari e sopra una classe politica che, a suon di like e post tuonanti, pensa di combattere il precariato”. 

 

 

Napoli: ancora un atto vandalico contro un bus dell’ANM

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Napoli: ieri sera intorno alle ore 21:00, nei pressi di via Galileo Ferraris, una baby gang ha commesso l’ennesimo atto di vandalismo ai danni del bus 196, che collega il parcheggio Brin con il rione Incis di Ponticelli.

Nello specifico, mentre il pullman dell’ANM (Azienda Napoletana Mobilità) percorreva via Galileo Ferraris, un gruppo di ragazzi ha commesso un atto vandalico, brandendo i martelletti frangi vetro. I ragazzi hanno iniziato a colpire la botola di emergenza del bus, posta nella parte alta del bus, mandandola in frantumi.

All’interno del pullman vi erano circa 30 passeggeri, impauriti per la scena a cui hanno assistito, ma illesi. Appena il conducente ha sentito i colpi, infatti, ha fermato la corsa accostandosi al marciapiede.

È stato in quel momento che il gruppetto di vandali ha potuto forzare le porte e scappare. Il funzionario dell’ANM ha così potuto solo informare l’azienda dell’accaduto, aspettare le forze dell’ordine per i rilievi e riportare il bus 196 al deposito di via delle Puglie per essere sottoposto a manutenzione.

Ecco le dichiarazioni di ieri di Adolfo Vallini, esecutivo provinciale USB (Unione Sindacale di Base) e rappresentante dei lavori per la sicurezza dell’ANM:

«Bisogna investire di più in sicurezza. Lo Stato deve fare la sua parte ma l’ANM deve immediatamente ripristinate le risorse economiche che sono state tagliate a seguito del concordato preventivo, e soprattutto implementarle. Le spese vanno fatte per garantire la giusta sicurezza  a bordo dei mezzi pubblici e nelle stazioni. Il personale dell’ANM potrebbe essere riqualificato per attività di controllo a bordo delle vetture, traendone l’azienda un duplice beneficio: di contrasto all’evasione dei titoli di viaggio e da deterrente ai comportamenti incivili».

L’ANM ha dunque bisogno di fondi, per aumentare i controlli ed evitare di subire l’ennesimo atto vandalico, ma anche per garantire le corse dei pullman ai cittadini.

Ennesimo atto vandalico ai danni dell’ANM

Purtroppo l’episodio di ieri sera per l’ANM non è una novità. Infatti, oltre azioni di vandalismo più recenti ai danni dei mezzi pubblici, qualche anno fa erano ricorrenti anche quelle contro le pensiline dei pullman.

Il 7 settembre 2015, Alberto Ramaglia, ex amministratore unico dell’ANM, si appellò al senso civico dei napoletani e a chi dovesse essere testimone degli atti criminosi, affinché non avessero timore nel denunciare o fare segnalazioni alle forze dell’ordine.

Dopo anni di distanza, il problema però sussiste e sembra che guidare un pullman sia diventato un mestiere rischioso, soprattutto in certe zone di Napoli e in certi orari.

Due anni fa, quando annunciò la sua uscita dall’ANM, Ramaglia inoltre dichiarò:

«Sono amareggiato, profondamente dispiaciuto, mortificato dalle lettere degli utenti che ogni giorno segnalano disservizi, che io non sono in grado di risolvere. Il Comune, la Regione e i sindacati dovrebbero dialogare di più. Non ho presentato la domanda per il secondo mandato in Anm perché non ci sono le condizioni per risanare l’azienda. Vado via».

Sono passati intanto due anni, ma queste dichiarazioni sembrano ancora molto attuali.

C’è ancora speranza per risanare l’ANM?

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La leggenda dei maccheroni napoletani e del mago che li creò

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I maccheroni al sugo sono una delle ricette napoletane più note nel mondo. La loro deliziosa semplicità ha reso il loro sapore quasi leggendario, tanto che a Napoli si dice che siano stati creati con un incantesimo.

Il mago Chico

Durante il regno di Federico II, si dice che in via dei Cotillari, nel sedile di Portanuova, vi fosse una palazzina stretta e lunga i cui abitanti erano gente assai malfamata. Al primo piano abitava uno strozzino; al secondo piano una prostituta; al terzo, invece, una coppia di imbroglioni. Ma l’inquilino che più spaventava il vicinato era quello del quarto piano: un uomo con una lunga barba lunga che passava ore davanti ad un pentolone.

L’uomo si chiamava Chico e si diceva che fosse un mago. Passava il giorno rinchiuso in casa, facendo strani esperimenti davanti al fuoco con la sola compagnia del suo aiutante. Le poche volte che lo si vedeva mettere il naso fuori dalla porta era coperto di una misteriosa polvere bianca che faceva tossire chiunque gli passasse accanto.

Le vicine di casa del mago Chico cercarono in tutti i modi di capire da dove venisse e cosa facesse in casa tutto quel tempo, ma senza successo. Alcuni dicevano venisse dalla Sicilia, altri dall’oriente, ma nessuno svelò mai il mistero delle sue origini.

Chico si staccava dal fuoco e dai suoi libri solo per andare a comprare delle erbe per i suoi incantesimi: timo, maggiorana, prezzemolo, basilico e pomodori erano quelle che acquistava più di frequente.

Le voci sul suo conto si moltiplicarono nel corso degli anni: davanti al camino parlava forse col Diavolo? Era lui che uccideva gli orfani che di tanto in tanto sparivano dal quartiere per realizzare i suoi malefici? Nessuno scoprì nulla e la figura del mago divenne nell’immaginario del quartiere sempre più losca ed inquietante.

La ricerca del piatto perfetto

Ma Chico non era un mago e nemmeno un alchimista. Era invece un inventore e in passato era stato un uomo molto fortunato. Ricco grazie alle sue invenzioni, affabile e di bell’aspetto era stato baciato dalla fortuna, amato dalle donne e circondato da amici.

Ma la fortuna ad un certo punto gli voltò le spalle. La malasorte fece sì che perdesse tutto il suo denaro e i suoi palazzi. Ormai in età avanzata, smarrita anche la passata bellezza, Chico si ritrovò solo. Andò a vivere così nell’unico appartamento che potesse permettersi, quello al quarto piano della palazzina malfamata di via dei Cotillari, con le porte basse e i vetri piombati.

Decise di dedicare i suoi ultimi anni ad una nuova ricerca: voleva inventare e realizzare il piatto perfetto. Così lavorava e lavorava davanti al fuoco, con il grano, le erbe e le spezie, cercando di creare la ricetta perfetta.

Jovannella e l’assaggio del Re

Una delle vicine di casa di Chico si chiamava Giovannella Di Canzio, detta Jovanella. Era forse la più determinata a scoprire i segreti dell’uomo: la curiosità la divorava. Passava così le giornate cercando di spiare il presunto mago dalle finestre, nonostante questi le sbarrasse.

Tenta e ritenta, rischiando più volte di essere scoperta e di incorrere nell’ira di Chico, alla fine Jovannella capì che cosa l’uomo stava cercando di fare e carpì la ricetta del piatto perfetto.

La donna chiamò il marito Giacomo, che lavorava come sguattero nelle cucine del Re Federico II, e gli disse di dire al cuoco reale che lei conosceva una ricetta divina,una pietanza di così nuova e tanto squisita fattura da meritare l’assaggio del Re“.

Giacomo fece quanto lei gli aveva detto di fare. Il cuoco parlò dunque di Jovannella e della sua ricetta a un maggiordomo, il quale ne parlò con un conte, il quale a sua volta riferì finalmente al Re. Federico II, incuriosito da tutta la vicenda, chiamò Jovanella affinché gli preparasse questa millantata delizia.

I maccheroni angelici

La donna si recò in fretta e furia al palazzo reale ed iniziò a cucinare. Mischiò farina, uova ed acqua, aggiungendo un pizzico di sale; impastò ed impastò e rese la pasta tanto sottile da sembrare poco più spessa d’una tela. Prese un coltello e la tagliò, modellandola poi in piccoli cannelli che mise al sole ad asciugare. Nel frattempo, mise in un tegame lo strutto e la cipolla tagliata nella maniera più sottile possibile e, quando questa fu soffritta, aggiunse della carne. Una volta cotta la carne nel tegame versò anche il succo di pomodoro, che aveva spremuto con uno straccio, e fece cuocere tutto a fuoco lento.  Dopo qualche ora, prese una pentola e vi fece bollire dell’acqua, versandovi poi la pasta che aveva preparato. Scolò infine la pasta separandola dall’acqua, e la mischiò con il sugo e del formaggio, da lei appena grattugiato, di Parma.

Jovannella fece dunque assaggiare il piatto prelibato che Chico aveva creato a Federico II. Il Re fu piacevolmente sorpreso da quel nuovo sapore e chiese alla donna cosa l’avesse ispirata e come avesse fatto a creare quel piatto tanto buono. Jovannella mentì, raccontando d’aver visto quei maccheroni per la prima volta in sogno: nella visione un angelo le avrebbe suggerito ingredienti e cottura. Lei era solo l’esecutrice di quella celestiale ricetta.

La ricetta dei “maccheroni angelici” divenne popolarissima. Jovannella raccolse la fortuna che sarebbe dovuta spettare a Chico e, cucinandoli, divenne ricca, amata e famosa. Tutta Napoli parlava della sua ricetta celestiale, tutti la conoscevano e disquisivano riguardo il suo sapore; tutti tranne Chico, che rimaneva confinato nel suo appartamento e che continuava a cercare di perfezionare la sua ricetta.

La fuga di Chico e la morte di Jovannella

L’ignaro Chico stava un giorno facendosi i fatti propri quando sentì un profumo levarsi da una delle case delle vicine. Incuriosito, s’avvicinò e chiese cosa stesse bollendo in pentola. La vicina gli raccontò così che stava provando a cucinare i maccheroni angelici di Jovannella, che oramai erano noti in tutta la città.

Chico capì subito che si trattava della sua ricetta. Sentendosi derubato, deluso prese le proprie cose e se ne andò via da Napoli in una notte. La gente mormorava che il Diavolo alla fine se lo fosse portato via con sé negli inferi.

Jovannella ebbe una vita lunga e felice. In punto di morte rivelò infine il suo grande segreto, raccontando a tutti d’aver rubato la ricetta al povero mago Chico. Morì tra urla strazianti, dannata. In molti credettero che fosse stato Chico a maledirla; in ogni caso, di lui nessuno a Napoli seppe più nulla.

La vera storia dei maccheroni

Ma quanto c’è di vero in questa leggenda? Non sappiamo se sia davvero esistito il povero Chico. Sappiamo però che con molta probabilità la ricetta per creare la pasta venga da Palermo – ed ecco perché una delle papabili origini del mago della nostra storia era la Sicilia.

Nonostante l’origine fosse siciliana, la ricetta trovò fortuna e diffusione a Napoli. Nella città partenopea i maccheroni trovarono il loro condimento e guadagnarono tanta popolarità da diventare simbolo della città. 

Il significato dei maccheroni

Non sappiamo invece precisamente da cosa derivi la parola “maccheroni”, anche se, nel corso del tempo, sono state avanzate diverse ipotesi.

La parola greca μακαρώνεια (makaronia) significa “canto funebre“. Il termine maccherone sarebbe dunque diventato sinonimo di “pasto funebre” prima, da servire cioè ai funerali, e poi di “pasto da servire“. Secondo alcuni studiosi, invece, “maccheroni” deriverebbe sempre dal termine greco da μαχαρία (macharía), “zuppa d’orzo”. Nel greco moderno il termine μάκαρ (mákar) significa “beato”.

Un’altra interpretazione è invece che il nome dei maccheroni derivi da “macco“. Il macco di fave è un piatto tipico siciliano di legumi schiacciati, “am-maccati”.

La magia della tavola

Ad ogni modo, qualsiasi cosa significhi il loro nome e da qualsiasi lingua derivi, sia che il povero Chico e la ladra Jovannella siano esistiti sia che invece siano frutto della fantasia, i maccheroni, nonostante le loro probabili origini Siciliane, sono uno dei piatti più tipici e più amati di Napoli e della Campania.

Non ci resta dunque che prepararne una porzione abbondante seguendo la ricetta della leggenda e della tradizione.

E forse possiamo anche dire che sia davvero un pasto magico, e che cucinarli sia davvero parte di un incantesimo: non è infatti una sorta di stregoneria quella di riuscire a riunirci insieme intorno ad una tavola, in famiglia o tra amici, per mangiarli insieme?

Riuscire a conservare questa convivialità, nonostante il mondo in cui ci è toccato vivere, non è in fondo magia?

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