domenica, Dicembre 21, 2025
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Io, 25enne campana a Milano: “La mia generazione mi sta deludendo, ma facile giudicare”

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Ciao, mi chiamo Gabriella ho 25 anni e sono campana. Scrivo questo post dalla mia casetta a Milano dove vivo da due anni”,   inizia così il suo sfogo all’alba della chiusura della Lombardia, il giorno dopo il contestato esodo di tanti suoi coetanei verso il sud.

Gabriella è una ragazza come tante, una di quelle che –  in altri articoli e in altri tempi – sarebbe stata definita un “cervello in fuga” verso il nord, verso l’estero, verso un futuro più stabile. Dopo una triennale a Napoli e un Erasmus in Francia, ha deciso di continuare i suoi studi a Milano. Qui ora lavora come stagista e qui, annunciata la chiusura della regione, ha deciso di restare nonostante la paura.

“Ieri sera non ho riempito una delle mie valigie e non sono scappata sul primo treno direzione casa scrive sul suo profilo Fb Coscienziosa! Diligente! Penserete voi… ma la verità é che una parte di me avrebbe voluto darsela a gambe perché io come i fuggitivi ho avuto paura (e ne ho tutt’ora) di restare sola e di dover affrontare tutto questo senza la mia famiglia”.

“É troppo, troppo facile giudicare per chi non vive lontano dai cari, dalle persone che ti danno la forza ogni giorno e dire “siete voluti andare al nord e ora restate li” ! – aggiunge con rabbia.  Ma critica è soprattutto nei confronti della sua generazione:  La nostra è la generazione che mi sta deludendo di più in tutta questa situazione. Quelli del nord impegnati a criticare chi é scappato passano però il sabato sera ai navigli e quelli del sud incazzati per chi é sceso ammassandosi ai baretti a Napoli. Dovremmo essere una generazione migliore di questa!”. 

Meritiamo sì, una generazione migliore di chi scappa senza pensare alle conseguenze ma anche di chi giudica senza conoscere. Il contagio più pericoloso, ai tempi del Coronavirus e sempre, è la mancanza di rispetto verso il prossimo.

E, allora, forza Gabriella!  Coraggio a tutti quei ragazzi e ragazze che, come lei, stanno affrontando la quarantena e un periodo di crisi come questo lontani – anche se solo fisicamente – da coloro che li amano.

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Coronavirus, c’è speranza! La terapia sperimentale parte da Napoli

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La prima terapia sperimentale per il Coronavirus parte, in Italia, da Napoli.

C’è speranza contro il Coronavirus e viene da Napoli. Grazie alla collaborazione tra due dei più importanti ospedali campani, possessori di primati nazionali, l’Azienda Ospedaliera dei Colli e l’Istituto Nazionale Tumori Irccs Fondazione Pascale, due pazienti affetti da polmonite severa Covid-19 e ricoverati all’ospedale Cotugno, sono stati trattati con Tocilizumab.

Si tratta di un farmaco che viene solitamente utilizzato nella cura dell’artrite reumatoide ed è farmaco di elezione nel trattamento della sindrome da rilascio citochimica dopo trattamento con le cellule CAR-T. Il farmaco è in fase di sperimentazione clinica in 14 ospedali di Wuhan (Cina).

Coronavirus, la terapia sperimentale

Montesarchio, direttore della Uoc di Oncologia dell’AORN e Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Pascale di Napoli, spiegano la situazione in merito alla somministrazione del farmaco:

«Già a distanza di 24 ore dall’infusione, sono stati evidenziati incoraggianti miglioramenti soprattutto in uno dei due pazienti, che presentava un quadro clinico più severo. Nell’esperienza cinese – aggiungono – sono stati 21 i pazienti trattati che hanno mostrato un miglioramento importante già nelle prime 24-48 ore dal trattamento, che si effettua con un’unica somministrazione e che agisce senza interferire con il protocollo terapeutico a base di farmaci antivirali utilizzati». 

La procedura, avviata per la prima volta in Italia, è stata, infatti, possibile grazie a una stretta collaborazione tra i già citati, Vincenzo Montesarchio, direttore della Uoc di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, il direttore  Paolo Ascierto insieme al virologo Franco Buonaguro e alcuni medici cinesi, tra cui Wei Haiming Ming del First Affiliated Hospital of University of Science and Technology of China e il team composto da tutto il personale del Cotugno e che ha visto in prima linea, tra gli altri, Rodolfo Punzi, direttore del dipartimento di Malattie infettive e urgenze infettivologiche; Roberto Parrella, direttore della Uoc Malattie infettive ad indirizzo respiratorio; Fiorentino Fragranza, direttore della Uoc Anestesia rianimazione e terapia intensiva; Vincenzo Sangiovanni, direttore della Uoc Infezioni sistemiche e dell’immunodepresso; Nicola Maturo, responsabile del Pronto Soccorso infettivologico del Cotugno e Luigi Atripaldi, direttore del laboratorio di Microbiologie e virologia.

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Coronavirus: A Caserta muore donna di 80 anni

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Coronavirus: Muore una donna di 80 anni nel casertano. Soffriva di altre patologie. Era ricoverata in un centro con un altro caso positivo.

Sale il numero di morti in Campania che assieme ad altre patologie, sono risultati positivi al Coronavirus. Si tratta di una donna di circa 80 anni che è morta all’ospedale di Caserta sabato mattina. La notizia della positività del tampone effettuato si è avuto post mortem.

La donna era monitorata da giorni, perché ricoverata nella stessa clinica di riabilitazione sempre nel casertano, del medico di Santa Maria Capua Vetere, ultrasettantenne, positivo al Coronavirus.

Tutto il personale sanitario è stato messo in quarantena dopo la positività dell’uomo con particolare attenzione alle persone che hanno avuto contatti con l’uomo.

L’anziana donna in questione, si aggiunge alle vittime del casertano, tra cui ricordiamo, infatti, il decesso dell’uomo di 46 anni di Mondragone, anch’egli positivo al Coronavirus ma sofferente anche di altre gravi patologie.

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#BussoLaLingua // Da cosa deriva la parola “Mamozio”?

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Si nu Mamozio!

Si nu Mamozio! Quante volte abbiamo sentito dire questa strana espressione, usata magari per riferirsi a qualcuno un po’ sciocco? Chiunque abbia sostato anche per poco in territorio Campano l’avrà udita innumerevoli volte.

Tuttavia, in pochi sanno da cosa derivi effettivamente la parola “Mamozio”: cosa – o chi – è un Mamozio? La curiosa risposta a questa domanda si trova a Pozzuoli, e #BussoLaLingua questa settimana ve la racconta.

Un console romano

La storia sulle origini della mamoziana espressione si spinge fino al 1704, anno durante il quale a Pozzuoli erano in corso degli scavi per la costruzione della chiesa di San Giuseppe. 

Proprio durante questi scavi, venne riscoperta una statua senza testa, che avrebbe dovuto rappresentare un console romano: Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano Mavorzio.

Stupiti ma felici di questo ritrovamento, i puteolani cercarono di rimettere a nuovo la statua decapitata costruendo per lei una nuova testa – le cose, tuttavia, non andarono molto bene.

La testa che venne infatti scolpita per sostituire quella perduta del povero Mavorzio risultò sproporzionata; era decisamente troppo piccola per il corpo sul quale venne collocata e rese grottesca l’immagine della statua.

Mamozio, il protettore delle capere, degli ‘ngiusissi e delle cofecchie

Di bocca in bocca, il nome del console Mavorzio venne ben presto storpiato in “Mamozio”. L’aria stupida e comica della statua contribuirono alla creazione del modo di dire “Si nu Mamozio!“, che appunto si usa per parlare a qualcuno che si ritiene un po’ sciocco e ridicolo – a volte, per riferirsi ad un pupazzo inespressivo.

Mamozio divenne ben presto un personaggio inventato ben caratterizzato e molto distante dal povero console: divenne infatti una sorta di antagonista di Pulcinella, una specie di suo alter-ego puteolano.

Mamozio era pettegolo e sciocco e per questo divenne il patrono delle capere, degli ‘ngiusissi e delle cofecchie (ovvero delle parrucchiere per donne – che spettegolavano spesso – dei pettegoli e di coloro che non potevano fare a meno di farsi gli affari altrui).

I viaggi di Mamozio tra fruttivendoli e calamità naturali

Successivamente, la statua di Mamozio venne spostata nella piazza del Mercato, e qui divenne anche il protettore dei fruttivendoli.

Questi erano soliti lanciare alla statua delle offerte di fichi e pomodori; uno di questi fruttivendoli, vedendo che alla statua rimanevano attaccati solo i fichi più maturi, avrebbe esclamato:

Santu Mamozio mio, ‘e bbone t’ ‘e magne e ‘e toste m’ ‘e manne arrete! // Mio Santo Mamozio, i (frutti) buoni te li mangi e mi mandi indietro i più duri!

Questa esclamazione sarebbe diventata, nel corso degli anni, una sorta di formula da recitare vicino alla statua per assicurarsi la protezione del patrono.

Probabilmente l’abitudine dei verdummari puteolani di lanciare frutta e verdura contro la statua  fu decisiva nella scelta di spostare la statua, che venne posata nell’Anfiteatro di Pozzuoli.

La figura di Mamozio, però, non è a quanto pare solo dispensatrice di buona sorte: quando nel 1964 la statua venne spostata dall’Anfiteatro, la cittadina di Pozzuoli venne infatti colpita da una serie di calamità naturali, cessate solo nel momento in cui la statua venne riportata al proprio posto nel 1987.

Oggi questa strana statua è conservata nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei.

Anche a Ponza, Procida ed Isernia

Il personaggio di Mamozio non è noto solo a Pozzuoli.

Divenne infatti popolare a Ponza dove venne ritrovata una statua senza testa a cui venne dato arbitrariamente il nome di “Mamozio” – a Procidadove veniva invece chiamata “Mamozio” una maschera decorativa posta sul portone del Palazzo Emanuele – e Iserniadove quattro statue togate romane senza testa, vicine al mercato, vennero chiamate “Mamozi”.

Insomma, la storia di questo termine e di questo personaggio un po’ strano è davvero particolare; chissà cosa ne avrebbe detto o pensato il povero console Mavozio.

Di certo non si sarebbe mai potuto aspettare che la statua che lo ritraeva si sarebbe affrancata dalla sua identità per conquistarne una propria – invero assai meno onorevole e decisamente poco lusinghiera…

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Scopri i segreti di altre parole e modi di dire:

Se vuoi approfondire la tua conoscenza sulla nostra cultura regionale o leggere altre storie della Campania, non perderti le nostre rubriche sulle Leggende e sui Sapori della nostra regione : #BussoLaLeggenda e #BussoLaTavola

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Campania: altri 14 tamponi positivi al Coronavirus oggi pomeriggio

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L’Unità di Crisi della Protezione civile della Regione Campania comunica che nel pomeriggio odierno sono stati esaminati 57 tamponi presso il centro di riferimento dell’ospedale Cotugno.

Di questi 14 sono risultati positivi. Come per tutti gli altri, si attende la conferma ufficiale da parte dell’Istituto Superiore di Sanità.

Totale positivi in Campania: 115.

Il Coronavirus non ferma il teatro NEST: al via la stagione “virtuale”

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Il nuovo decreto ministeriale per prevenire la diffusione del Covid-19 ha fermato temporaneamente la stagione cinematografica e teatrale in Italia. Il teatro NEST di San Giovanni a Teduccio ha dato il via alla “stagione virtuale“. Si parte domani con lo spettacolo Muhammad Alì. Lo spettacolo sarà visibile in diretta Facebook sulle pagina del Teatro Nest, degli attori in scena e non solo, il tutto il maniera GRATUITA. La comunicazione arriva dal profilo Facebook di Francesco Di Leva, uno dei fondatori del teatro Nest e protagonista del primo spettacolo della Stagione Virtuale.

l Nest Napoli est Teatro presenta la sua nuova Stagione virtuale.
RITORNO AL FUTURO.
Siamo nel 2060, ormai il Teatro si vede da casa, sugli smartphone, i tablet e da ogni supporto tecnologico. Le prenotazioni si effettuano on-line senza acquistare nessun biglietto, grazie al sostegno dello Stato Italiano che in questo 2060 (anno in cui ci troviamo) ha stanziato dei fondi per stipendiare tutti gli artisti Italiani, in modo da produrre continuamente cultura nel nostro paese. Gli artisti, in quanto dipendenti dello stato, devono recitare, cantare, fare spettacolo, cosi come hanno sempre fatto.
Gli spettacoli saranno visibili in diretta streaming sulle Pagine ufficiali Facebook e Istagram della
Compagnia Nest e sui profili privati e ufficiali degli artisti in scena. Francesco Di Leva e Pino Carbone @compagnianest
PRIMO APPUNTAMENTO
Domani sera, lunedi 9 alle ore 21
Francesco Di Leva e Pino Carbone
reciteranno dal divano di casa:
MUHAMMAD ALÌ
Affinché funzioni il meccanismo c’è bisogno di almeno 50 prenotati On line.
Aspettiamo le vostre adesioni. BASTA DIRE SOTTO AL POST CHE CI SARETE.
Un progetto Nest Napoli est Teatro


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Coronavirus: primaria del Cardarelli positiva al tampone

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Anche la primaria del Pronto Soccorso al Cardarelli è risultata positiva al coronavirus.  La notizia è riportata dal Consigliere Regionale Francesco Emilio Borrelli attraverso un post pubblicato sul suo profilo Facebook.

In serata tarda sarà igienizzata tutta l’area. Solo dopo la disinfezione, sarà riaperto il reparto.

BussoLaTavola // L’origine del Babà tra realtà e leggenda

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Il Babà è un dolce soffice, impreziosito da dosi abbondantissime di Rum; per arrivare fino a Napoli ha compiuto un lungo viaggio, e solo nella città partenopea ha assunto la sua caratteristica forma a funghetto.

Oggi è una ricetta notoriamente apprezzata, ma sapete che la leggenda narra che sia nata per colpa di un Re a cui invece questo dolce lievitato proprio non piaceva?

Quest’oggi #BussoLaTavola vi racconta questa strana storia dolce e saporita a metà tra realtà e leggenda.

Il Re che lanciava i piatti

Tutti noi dobbiamo l’esistenza di questa deliziosa ricetta ad un Re invero un po’ capriccioso ed iracondo.

Stiamo parlando del re polacco Stanisław Bogusław Leszczyński, vissuto tra il 1677 ed il 1766. La leggenda racconta che il re avesse davvero gusti difficili ed un pessimo carattere – per questo, quando cuochi e pasticceri servivano le loro ricette e creazioni al sovrano, erano tutti a dir poco terrorizzati.

Famosissimi erano i suoi scatti d’ira: e proprio ad uno di questo sembrerebbe dovuta la nascita del Babà. Al Re Polacco venne infatti servito un dolce tipico della Lorena il cui nome era “Kugelhupf”.

Datogli appena un morso, il Re, con espressione disgustata, lanciò via il piatto gridando improperi in direzione del povero pasticcere che aveva osato servirlo.

Lanciando il piatto, questi avrebbe urtato e fatto cadere una bottiglia di Rum – secondo alcuni, invece, si  trattava di sciroppo – che frantumandosi avrebbe inzuppato il kugelhupf, rendendolo lucente e dall’aspetto più accattivante.

Il Re, incuriosito dal nuovo aspetto del dolce, ne assaggiò un pezzetto e, questa volta – con l’aggiunta del prezioso Rum – gli piacque molto. Nominò quel dolce “Babà” in onore di Alì Babà, protagonista di una delle storie preferite dal monarca.

Il Babà a Napoli

Ma come fece questo dolce ad arrivare fino a Napoli?

Ebbene, il nostro iracondo re era sposato con Maria, la figlia del re francese Luigi XV. Anche la fanciulla parve gradire il sapore di quel nuovo dolce, e così fece assaggiare il Babà al padre. Secondo alcuni, il nome “Babà” non sarebbe, come invece suggeriva la leggenda, stato dato da Stanislaw, ma sarebbe la francesizzazione del termine “babka”, che indica ancora oggi un dolce lievitato.

Ad ogni modo, il Babà giunse dunque in Francia e da lì, visti gli stretti rapporti tra la Francia e Napoli, giunse rapidamente nella città partenopea.

Qui pare che un cuoco di nome Nicolas Stohrer, che accompagnava spesso la figlia di Stanislaw nei suoi viaggi, abbia modificato la forma del Babà dandogli quella tipica a fungo che ancora oggi possiamo vedere nelle pasticcerie.

Bonus Track: #BussoLaLingua a sorpresa, Tu si ‘nu babbà

A Napoli il dolce conquistò il definitivo successo, diventando sinonimo di bontà in diverse espressioni e modi di dire, come, per esempio, il celebre Tu si ‘nu babbà, ovvero  Tu sei un babà.

Questa espressione vuol dire Tu sei un tesoro, oppure Tu sei proprio una bella persona, e si usa solo con persone davvero stimate o apprezzate per la loro bontà d’animo e bravura.

Nato dall’ira di un incontentabile sovrano polacco, il Babà oggi viene dunque assaporato in tutta la Campania con estremo gusto e godimento. E voi conoscevate la sua strana storia?

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“La violenza è una gabbia”: per la festa delle donne la scultura di Anna Izzo

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In occasione della festa delle donne, l’artista Anna Izzo porta all’isola di Capri una scultura unica e bella, dall’aspetto bizzarro ma decisamente interessante.

L’opera consiste in un paio di giganteschi tacchi a spillo rossi chiusi in una gabbia, e il titolo è “La violenza è una gabbia“.

Gigantesca è la mia rabbia

L’opera ha un’altezza di 3,30 metri e misura 3 metri in larghezza. Riguardo le dimensioni gargantuesche della scultura, l’artista Anna Izzo dichiara:

Questa scultura è gigantesca perché gigantesca è la mia rabbia verso la violenza sulle donne. Non possiamo più contare vittime, una dopo l’altra, come un bollettino di guerra senza rimanere stupiti, atterriti da tutto questo odio. E Capri, magnifica isola dell’amore e della bellezza, fa suo questo grido di tutte le donne e dice no, e dice basta!

Salvatore Ciuccio, Assessore alle Politiche Sociali e alle Pari Opportunità del Comune di Capri, è stato particolarmente colpito dall’opera di Anna Izzo. Dichiara infatti:

La forza di quest’opera unica nel suo genere e donataci dall’artista, è un simbolo dal quale partire per un importante momento di riflessione e confronto sulla tematica della lotta alla violenza sulle donne, un argomento che merita il massimo dell’attenzione e soluzioni fattive da parte di cittadini e istituzioni.

A Capri è sempre la festa delle donne

L’isola di Capri non è nuova ad iniziative a favore delle donne e della parità di genere: la FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari) è fortemente attiva sull’isola.

Già lo scorso 25 Novembre, giornata contro la violenza sulle donne, la Federazione aveva organizzato incontri, seminari e manifestazioni simili.

In occasione della festa della donna, a Marzo arriverà inoltre il progetto “HeForShe”, curato proprio dalla sezione caprese di FIDAPA: si tratta di una campagna di solidarietà contro la discriminazione femminile ideata da UN Women, ente delle Nazioni Unite che dal 2011 lavora per migliorare la condizione sociale, economica e politica delle donne nel mondo.

Maria Celeste Schettino, Presidentessa della sezione caprese della Fidapa, dichiara:

La parità di genere è un obiettivo per la donna, ma può essere una grande opportunità anche per l’uomo. Riuscire a riappropriarsi di una più consapevole e libera genitorialità, spogliandosi da stereotipi che ancora riconducono la donna al focolare domestico e l’uomo al lavoro fuori casa, sono conquiste che contribuiscono al bene di entrambi i sessi e dell’intera società. Quindi lui per lei, ma anche lei per lui, insieme.  

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Coronavirus, proteste nel carcere di Poggioreale

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Proteste nel carcere di Poggioreale: i detenuti chiedono provvedimenti anti-contagio da Coronavirus.

Poggioreale: i detenuti sono saliti sui tetti e hanno bruciato materassi per protesta, chiedendo provvedimenti contro il rischio di contagio dal Coronavirus all’interno della struttura. Pare, quindi, che attualmente non siano state adottate misure cautelative.

I parenti degli stessi detenuti, sono fuori al carcere per unirsi alla protesta, pare che stiano richiamando l’attenzione dei congiunti dall’esterno che a loro volta rispondono, sentendosi chiamare.

Aldo Di Giacomo, segretario del Sap, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, riferisce che:

«Tensioni simili si starebbero verificando anche negli istituti di detenzione di altre città».

La protesta è scoppiata dopo l’annuncio di sospensione dei colloqui proprio a causa dell’emergenza Coronavirus. Sul posto è giunto il questore Alessandro Giuliano e le altre forze dell’ordine.

Al momento i detenuti non sono più sui tetti della struttura. Nella zona del Palazzo di Giustizia a piazza Cenni, i carabinieri e la polizia hanno chiuso tutto, impedendo l’accesso e il passaggio. Sull’edificio, vola basso un elicottero per monitorare la situazione e anche guardando dall’esterno, è possibile intravedere del fuoco all’interno del carcere.

+++AGGIORNAMENTO+++

Su via Poggioreale, ci sono ben quattro tram bloccati da oggi pomeriggio e fuori al carcere ci sono almeno 1000 persone, parenti e amici dei detenuti.

Con l’arrivo dei rinforzi degli agenti di Polizia e dei carabinieri e l’ingresso dei celerini nella struttura, la situazione all’interno del carcere pare essersi tranquillizzata e la protesta sembra esser stata sedata ma all’esterno della struttura stanno arrivando sempre più congiunti dei detenuti che pretendono di fare i colloqui con i propri familiari. Non si esclude, quindi, la possibilità di una nuova “rivolta” nelle prossime ore.

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