La procura di Roma vuole fare luce sulla fine di Dj Godzi, il trentacinquenne napoletano Michele Noschese morto durante l’arresto da parte della Guardia Civil, il 19 luglio scorso in un complesso residenziale di Sant’Eulaia, sull’isola di Ibiza.
La salma, liberata dalle autorità spagnole, è tornata ieri a Roma e la procura di Piazzale Clodio (competente ad indagare sui fatti che riguardano i cittadini italiani all’estero) l’ha sequestrata nell’ambito di un’inchiesta, ancora contro ignoti, in cui si ipotizza il reato di omicidio preterintenzionale.
I pm della Capitale, con l’audizione di testimoni e una nuova autopsia, vogliono capire se è vero, come ipotizzano amici e familiari di Noschese, che l’uomo sia morto in seguito alle percosse della Guardia civil, oppure se è fondata la tesi degli inquirenti spagnoli, secondo cui il decesso sarebbe da attribuire ad un abuso di droghe. Ma cominciamo dall’inizio.
Il 19 luglio mattina gli abitanti del residence dove viveva Noschese sono stati svegliati da strepiti e urla. “Michele era fuori di sè, sembrava un pazzo”, hanno raccontato dei testimoni alla polizia, intervenuta sul posto perchè l’italiano, secondo le chiamate al 112, stava minacciando un anziano vicino con un coltello. In quell’appartamento si era rifugiata, poco prima, una giovane argentina che da qualche giorno era ospite di Noschese: era scappata gridando, a quanto pare spaventata dallo stato di agitazione dell’uomo, che l’aveva inseguita fin dentro l’abitazione. Qui sono intervenuti gli uomini della Guardia civil, che hanno immobilizzato Noschese. “Gli hanno messo le manette alle mani e anche ai piedi, non ho visto mai nessuno ammanettato ai piedi… e poi hanno iniziato a dargli dei pugni al volto e sulla schiena… Io ero sul ciglio della porta, ho visto e sentito le urla del mio coinquilino: ‘Lasciatemi stare, lasciatemi stare’. Michele era spaventato, loro si sono accorti della mia presenza e mi hanno detto di scendere”, ha raccontato un amico del dj, Raffaele Rocco.
La Guardia civil, all’indomani del fatto, ha chiarito che il comportamento degli agenti è stato sempre corretto: è stata usata “la forza minima necessaria” a bloccare un uomo in stato di agitazione, che poi ha avuto le convulsioni e, nonostante i tentativi di rianimarlo, è morto. Tutto confermato dall’autopsia, che non avrebbe riscontrato segni di violenza sul corpo e attribuito la morte alla “continua assunzione di stupefacenti”, tracce dei quali sono state trovate anche in casa del giovane. All’autopsia non ha potuto partecipare un consulente della famiglia Noschese ed è anche per questo che il padre del dj, Pino, con un lungo passato di medico ortopedico al Cardarelli di Napoli, definendo l’esame “incompleto”, ha chiesto e ottenuto dalle autorità spagnole l’autorizzazione a svolgere nuovi accertamenti diagnostici, in particolare una Tac e una risonanza total body, che sono stati effettuati in una clinica privata di Ibiza. I risultati ufficiali ancora non si conoscono, ma secondo quanto trapelato finora sarebbero emerse costole e clavicole rotte.
La procura di Roma vuole ora districare questo ginepraio, svolgendo ulteriori esami e sentendo persone informate sui fatti, a partire proprio da Pino Noschese, già ascoltato per rogatoria dalla polizia di Napoli. Agli investigatori il medico ha ripetuto quanto gli è stato riferito dagli amici del dj; ha poi sottolineato che “se aveva le convulsioni doveva essere soccorso e non buttato a terra e ammanettato mani e piedi” e infine ha consegnato un messaggio vocale inviato dal figlio a un amico: “Alle 7,49 di sabato Michele diceva ‘basta fare chiasso, che protestano i vicini’. E alle 8,15 era morto. Aspetto di capire ancora perché”.
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