Cava de’ Tirreni si è stretta ieri in un silenzio carico di dolore per l’ultimo saluto ad Anna Tagliaferri, la donna di 40 anni uccisa otto giorni fa dal compagno, Diego Di Domenico, che dopo averla colpita ha ferito gravemente anche la madre di lei e si è poi tolto la vita.
Il sindaco Vincenzo Servalli ha proclamato il lutto cittadino, interpretando il sentimento di una comunità profondamente scossa da una tragedia che ha lasciato sgomenti amici, conoscenti e clienti della storica pasticceria Tirrena, attività di famiglia di cui Anna era titolare insieme ai fratelli.
Fin dalle prime ore della mattina, centinaia di persone si sono radunate nel Duomo e sul sagrato per partecipare alle esequie. Un fiume umano composto da cittadini, colleghi, clienti e amici che hanno voluto testimoniare affetto e vicinanza alla famiglia. La bara bianca, ricoperta da centinaia di fiori bianchi, è diventata il simbolo di un dolore collettivo che ha attraversato l’intera città.
I funerali sono stati officiati dall’arcivescovo Orazio Soricelli, che nell’omelia ha pronunciato parole forti e nette, destinate a lasciare un segno:
«Siamo qui perché una vita è stata spezzata in modo violento, ingiusto e assurdo. Siamo qui per Anna. L’amore vero, quello di cui parla il Vangelo, non ferisce, non uccide, non controlla, non distrugge. L’amore lascia vivere».
Un richiamo chiaro contro ogni forma di violenza e di possesso, ma anche un invito alla responsabilità collettiva:
«Non ogni relazione è amore. Non ogni legame è sano. Non ogni silenzio è pace. Oggi non possiamo limitarci a piangere Anna. Il dolore non può restare solo un ricordo: la sua memoria chiede scelte concrete e relazioni più vere».
All’uscita dal Duomo, la bara è stata accolta da un lunghissimo applauso, spontaneo e commosso, mentre la città salutava Anna per l’ultima volta. Un gesto semplice, ma carico di significato, che ha unito una comunità ferita nel nome di una donna ricordata da tutti come lavoratrice, figlia, sorella e cittadina stimata.
Cava de’ Tirreni piange Anna, ma dalle parole pronunciate e dal silenzio condiviso emerge anche una domanda che non può essere ignorata: trasformare il dolore in consapevolezza, perché tragedie come questa non diventino mai normalità.
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