Sono trascorsi quarant’anni dall’uccisione di Giancarlo Siani, il giornalista del Mattino assassinato dalla camorra il 23 settembre 1985 a soli 26 anni. Tornava a casa, nel quartiere Vomero, quando fu raggiunto da dieci colpi di pistola. La sua colpa: aver raccontato i rapporti tra clan, affari e politica.
Siani iniziò scrivendo per il periodico “Osservatorio sulla camorra”, poi approdò al Mattino. Con rigore e curiosità indagò sugli interessi criminali legati all’edilizia, sulle faide tra clan e sulle zone d’ombra della politica locale. La sua Olivetti M80 accompagnò ogni articolo, diventata oggi simbolo di un mestiere fatto di verità e responsabilità.
L’anniversario viene ricordato con numerose iniziative. A San Giorgio a Cremano, città natale di Siani, è partito il viaggio della sua macchina da scrivere: un treno speciale toccherà diverse città italiane, da Latina a Milano, per incontri pubblici e dibattiti sul ruolo del giornalismo. La Rai ha realizzato un documentario che ripercorre la sua storia e la trasmette oggi in prima serata. Nelle scuole, nei teatri e nelle piazze si organizzano letture, mostre e confronti con studenti e cittadini. A Napoli, inoltre, è stato restaurato il murale a lui dedicato, perché la sua immagine torni visibile nello spazio urbano.
La memoria di Siani non è confinata al ricordo. È diventata strumento di educazione civile, un invito a riconoscere quanto il diritto di informare e quello di essere informati siano fondamentali in una democrazia.
A quarant’anni dalla sua morte, Giancarlo Siani resta un punto di riferimento per chi crede in un giornalismo libero, capace di andare oltre i silenzi e le convenienze. La sua storia ricorda che la verità può costare cara, ma il silenzio può costare ancora di più.
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