“Il Bambino Gesù viene sulla terra per aprire le porte che l’egoismo, il peccato, l’indifferenza hanno chiuso”.
Lo scrive nella lettera di Natale, indirizzata ai fedeli, l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Domenico Battaglia. Il presule parla di un Gesù Bambino che dal presepe prende un mazzo di chiavi – alcune lucide, altre storte, certe pesanti come un destino, altre piccole come un fiore – si incammina per aprire alcune porte.
“La prima porta che incontrò non era visibile a tutti, ma il Cielo la vedeva benissimo: era la porta delle relazioni ferite, quelle fatte di parole non dette, di orgogli che non si piegano, di abbracci negati. Il Bambino scelse una chiave curva, fatta apposta per aprire ciò che è storto. La porta si sciolse come neve al primo sole, e dietro si affacciarono mani che tornavano a cercarsi, volti che si riconoscevano, cuori che ricevevano un’altra possibilità“, scrive l’arcivescovo parlando poi del lavoro che non c’è, dei migranti in fuga e di quanti – dinanzi alle avversità – finiscono per perdere la speranza.
Il Bambino Gesù però “più avanti trovò le porte chiuse delle fabbriche dismesse, quelle spente dalla fretta dell’economia che scarta. Le porte erano alte, arrugginite, mute. Lui prese una chiave pesante, di ferro vivo, e la girò nella serratura. La ruggine cadde a terra come pioggia, e da dentro uscì un vento tiepido: dignità che rinasce, lavoro che torna ad avere un volto umano, futuro che si riapre“.
“Proseguendo, il Bambino si fermò davanti ai cancelli sigillati dei porti chiusi, quelli serrati dalla paura di accogliere. Le loro porte erano fatte di timori, non di legno.
Le aprì con una chiave di luce quasi trasparente. E il mare sembrò tirare un sospiro. Le onde tornarono ad accompagnare chi cerca una riva, una casa, un respiro nuovo. Infine arrivò alle porte più difficili: quelle dei cuori senza speranza. Erano serrature fragili, custodite da buio e stanchezza. Il Bambino trovò nel mazzo una chiave minuscola, quasi invisibile, ma calda come una mano amica. Bastò sfiorare le serrature, e ogni porta iniziò a cedere. Non a spalancarsi: cedere. Come fa la speranza quando inizia a tornare. Una scintilla, una fessura, un inizio. E la vita fiorisce“, conclude.
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