giovedì, Marzo 28, 2024
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BussoLaStoria: Giambattista Vico, l’illuminista napoletano

A Giambattista Vico, filosofo d’epoca illuminista, sono dedicate vie e scuole in tutta la Campania, eppure poche persone conoscono questa figura oltre un vago nominativo. Si tratta di un pensatore rivoluzionario per la sua epoca, nonché un pioniere di idee che sarebbero giunte in seguito.

Nato nel 1668 a Napoli e morto nel 1744 nella medesima città, Vico frequentò la scuola dei Gesuiti dove intraprese da autodidatta lo studio della filosofia, in particolare la logica e la metafisica scolastica. Grazie a dei contatti con l’università napoletana, iniziò gli studi di giurisprudenza senza però concluderli. Ferito da piccolo alla testa, i medici dissero che il giovane Vico avrebbe avuto problemi di carattere intellettivo: si dovettero ricredere, sicché l’unica conseguenza che parve avere fu rendere il futuro filosofo più introverso. Saltando alcuni passaggi e considerando soltanto i pensieri più vivaci del filosofo che diede all’illuminismo un’impronta del tutto originale, ne esploriamo…

Il Pensiero

Vico è stato uno dei primi filosofi a sviluppare una teoria filosofica del linguaggio, cerca infatti di estrapolare elementi di una sapienza antica dalle etimologie delle parole latine. Emerge anche in questo caso come la cultura umanista (che riteneva addirittura superiore a quella scientifica) per Vico fosse fonte di un sapere autentico e profondo.

Nella sua opera più celebre, la Scienza nuova, Vico espone la scienza della storia: si tratta di una scienza nuova, poiché indaga le vicende umane e queste sono opera totalmente umana (per Vico la verità corrispondeva al fatto, cioè era possibile conoscere soltanto ciò di cui si era autori).  È necessario però accertarsi dei fatti storici di ciò di cui si vuole indagare le cause: entra in gioco la filologia che attraverso il linguaggio studia la vita e i costumi dei popoli.

La filosofia deve spiegare i fatti accertati dalla filologia. Tra due queste materie esiste un’interconnessione tale per cui non c’è scienza del certo se non se ne conoscono le cause, indagate dalla filosofia. C’è quindi la necessità di un’unione tra il certo e il vero, Vico sostiene che bisogna “inverare il vero” quindi ricondurre fatti particolari a leggi universali, e al contempo “accertare il vero” quindi ricostruire i fatti particolare a cui le quelle leggi si applicano.

Sostenne l’andamento ciclico della storia, ponendola sotto il regime di leggi non matematiche ma metafisiche: eppure, ritiene la scienza della storia valida al pari della matematica, in quanto entrambe opere umane. Si oppose  alla concezione della conoscenza di Cartesio, sostenendo la limitatezza della mente umana. Vico fu sì un prodotto dell’Illuminismo, ma fu nei fatti divergente da molti dei pensatori dell’epoca: riteneva la matematica una scienza reale, ma utile soltanto nella formalità, mentre nell’epoca del razionalismo non concepiva la fisica come una scienza poiché la natura, non essendo opera umana, non era descrivibile dall’uomo.

Fu uno dei primi a mettere in dubbio la reale esistenza di Omero, l’antichissimo autore dell’Iliade e dell’Odissea: descriveva infatti il poeta come l’espressione dell’identità culturale del popolo greco, piuttosto che una figura realmente esistita.

Vico rimase per secoli incompreso e poco considerato nonostante la complessità e l’eccentricità del suo pensiero: Benedetto Croce per primo studiò in lungo e in largo l’opera di Vico, mettendone in luce l’attualità che ancora aveva. Non fu il solo a riscoprire il fascino del suo pensiero: anche James Joyce ha tratto evidente ispirazione da Vico nelle sue opere. Fu un precursore addirittura dello storicismo di Hegel.

Un paese che non ha memoria del suo passato non ha un futuro radioso: sapendo chi è nato e ha dato lustro alla terra del Meridione, si può con fermezza contrastare l’ignoranza di chi, saturo di pregiudizi, discrimina.

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