Il ragazzo vittima di bullismo era stato insultato con un paragone al cantautore. L’artista napoletano: “Non so trovare una spiegazione, certe parole fanno troppo male”.
NAPOLI – «Nino D’Angelo, caschetto biondo». Così veniva spesso chiamato da ragazzo, un soprannome che negli anni ’80 era diventato il suo marchio di riconoscimento, ma che in certi contesti era stato usato anche per dileggiarlo e per etichettare in modo dispregiativo la musica neomelodica. Oggi, a 68 anni e con una carriera artistica consolidata, Nino D’Angelo ricorda quelle ferite con la consapevolezza di chi è riuscito ad affrancarsi da stereotipi e pregiudizi.
Un dolore che è tornato prepotentemente a galla nei giorni scorsi, dopo la tragedia di Santi Cosma e Damiano, in provincia di Latina: un ragazzo di 14 anni si è tolto la vita e, secondo i familiari, sarebbe stato vittima di episodi di bullismo. Tra gli insulti ricevuti, alcuni lo avrebbero paragonato proprio al cantautore napoletano, in chiave offensiva.
Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Cassino per istigazione al suicidio, mentre il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha disposto ispezioni negli istituti scolastici frequentati dal giovane.
Il messaggio di Nino D’Angelo
Quando è emerso il dettaglio del paragone, D’Angelo ha voluto intervenire con un messaggio affidato ai social, intriso di dolore e sensibilità:
«Come si fa a trovare una ragione, una spiegazione a questa cosa… Io mi sento piccolo piccolo e non so trovarla. Qual è potuta essere la solitudine che ha confuso i pensieri di questo ragazzino fino a portarlo a un gesto simile?» scrive l’artista.
E aggiunge: «Dov’eravamo noi, tutti noi che ormai sappiamo sempre poco dei nostri figli? Dov’erano le parole che avrebbero dovuto far capire agli amici che certe cose non si possono dire, che fanno troppo male, così male da poter uccidere un ragazzino della loro stessa età…».
Infine, la conclusione che suona come un appello e quasi una preghiera: «Perdonaci, se non abbiamo saputo aiutarti. E scusami se ti hanno dato il mio nome».
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