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Addio al regista Mohammad Bakri, voce dell’identità palestinese. De Magistris gli conferì la cittadinanza a Napoli nel 2018

Mohammad Bakri, attore, regista e sceneggiatore palestinese con cittadinanza israeliana, tra i più importanti interpreti e narratori della storia e della cultura palestinese, è morto alla vigilia di Natale all’età di 72 anni in un ospedale di Nahariyya, nel nord di Israele, dopo una lunga malattia cardiaca.

Nel 2018 il sindaco di Napoli Luigi de Magistris gli ha conferito la cittadinanza onoraria, definendolo “ambasciatore e pontiere di pace e uguaglianza”, mentre nel 2020 il ministero della Cultura palestinese lo ha nominato “personalità culturale dell’anno”, istituendo anche un premio cinematografico a lui intitolato.

La notizia della scomparsa, annunciata dalla famiglia, è riportata dai media israeliani.

Bakri ha saputo raccontare le esperienze dei palestinesi sfidando le narrazioni ufficiali, spesso entrando in conflitto con le autorità israeliane per i suoi documentari e le sue scelte artistiche. Nato il 27 novembre 1953 nel villaggio di Bi’ina, in Galilea, Bakri era considerato uno dei pochissimi artisti capaci di ottenere un ampio riconoscimento sia in Israele sia nei Territori palestinesi. Dopo gli studi in arte drammatica e letteratura araba all’Università di Tel Aviv, avviò la carriera teatrale nel 1976, lavorando tra l’altro con il Teatro nazionale Habimah, il Teatro di Haifa e il Teatro al-Kasaba di Ramallah.

Il successo cinematografico arrivò negli anni Ottanta, in particolare con “Oltre le sbarre” (1984) di Uri Barbash, film che rappresentò Israele agli Oscar e lo impose sulla scena internazionale. Da allora Bakri ha recitato in oltre quaranta film, collaborando con registi come Costa-Gavras, Amos Gitai, Michel Khleifi, Rashid Masharawi, Saverio Costanzo, Paolo e Vittorio Taviani e Annemarie Jacir.

In Italia è ricordato soprattutto per “Private” (2004) di Costanzo e “La masseria delle allodole” (2007) dei fratelli Taviani. Alla fine degli anni Novanta Bakri si è dedicato anche alla regia di documentari. Il suo lavoro più noto e controverso resta “Jenin, Jenin” (2002), dedicato alle testimonianze degli abitanti del campo profughi palestinese dopo un’operazione militare israeliana.

Il film, premiato alle Giornate cinematografiche di Cartagine, fu censurato in Israele e diede origine a una lunga serie di procedimenti giudiziari che hanno segnato profondamente la vita personale e professionale dell’autore, trasformandolo in una figura simbolo del dibattito sulla libertà di espressione.

Nonostante polemiche e difficoltà, Bakri ha continuato a lavorare tra cinema, teatro e televisione, partecipando anche a produzioni internazionali come le serie “The Night Of”, “Homeland” e “Le Bureau des légendes”.

Nel 2017 ha vinto, insieme al figlio Saleh, il premio per il miglior attore al Festival di Dubai per il film “Wajib – Invito al matrimonio”. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Nel 2018 il sindaco di Napoli Luigi de Magistris gli ha conferito la cittadinanza onoraria, definendolo “ambasciatore e pontiere di pace e uguaglianza”, mentre nel 2020 il ministero della Cultura palestinese lo ha nominato “personalità culturale dell’anno”, istituendo anche un premio cinematografico a lui intitolato. Bakri lascia la moglie Layla e sei figli, cinque dei quali – tra cui Saleh, Ziad e Adam – hanno seguito le sue orme nel mondo della recitazione. (di Paolo Martini) (Pam/Adnkronos)

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