mercoledì, Novembre 5, 2025
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Campi Flegrei: Nuovo studio per prevedere le scosse più intense. Primi dati incoraggianti

È stato pubblicato su JGR Solid Earth un nuovo studio che propone una lettura innovativa della sismicità ai Campi Flegrei.

Integrando dati sismici e di deformazione del suolo, ricercatori e ricercatrici dell’Università di Napoli Federico II, del Centro di ricerche sismologiche dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale e dell’Università di Genova, hanno individuato una chiara fase preparatoria che precede i principali terremoti, aprendo la strada a future ricerche per lo sviluppo di modelli predittivi in grado di stimarne la magnitudo.

“Negli ultimi anni l’area dei Campi Flegrei ha mostrato un aumento costante dell’attività sismica e del sollevamento del suolo”, spiega Antonio Giovanni Iaccarino dell’Università di Napoli Federico II, primo autore dell’articolo: “Volevamo capire se questi fenomeni fossero collegati e se fosse possibile riconoscere segnali precursori comuni prima dei terremoti più significativi. Per farlo abbiamo analizzato venti sequenze sismiche registrate tra il 2015 e il 2024”.

I risultati dello studio, condotto analizzando in modo integrato la sismicità e le misure di deformazione condotte dall’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, mostrano come prima di ogni evento principale si manifesti una fase preparatoria ben definita, durante la quale aumentano sia la deformazione del suolo, cioè il cosiddetto bradisismo, sia l’energia sismica rilasciata dai microterremoti.

“Questa correlazione – aggiunge Iaccarino – ci ha permesso di identificare un parametro chiave, lo strain residuo, che descrive l’equilibrio tra deformazione e sismicità”. “Gli studi scientifici realizzati negli ultimi anni dai nostri colleghi, a cui si aggiunge il nostro lavoro, hanno dimostrato come la deformazione crostale ai Campi Flegrei sia il motore principale della sismicita'”, commenta Matteo Picozzi, direttore del Centro di ricerche sismologiche dell’Ogs: “Comprendere questo legame e definire delle relazioni analitiche tra i due fenomeni e’ fondamentale per interpretare l’evoluzione del sistema e migliorare la valutazione del rischio”.

Grazie ai dati del monitoraggio raccolti dall’Ingv, il gruppo di ricerca, composto anche da Grazia De Landro (Università di Napoli Federico II) e Daniele Spallarossa (Università di Genova), ha potuto sviluppare un primo esempio di modello predittivo per la magnitudo degli eventi principali delle sequenze sismiche.

“È ancora presto per parlare di previsioni vere e proprie – ammette Iaccarino – Il nostro studio rappresenta un primo contributo in questa linea di ricerca. Seppur i risultati siano promettenti e il modello riesca, analizzando il tasso di deformazione e le caratteristiche dei piccoli terremoti, a stimare la magnitudo potenziale degli eventi principali con alcuni giorni di anticipo, è purtroppo ancora lontano il giorno in cui strumenti simili possano essere usati per rilasciare allerte. Le incertezze delle stime sono ancora grandi e il rischio di false o mancate allerte non rende i modelli utilizzabili per scopi di protezione civile. Il nostro lavoro è un primo passo di un percorso di crescita della conoscenza della generazione di forti terremoti ai Campi Flegrei che pensiamo aiuterà in futuro allo sviluppo di nuovi strumenti previsionali”.

La possibilità di riconoscere le fasi preparatorie dei terremoti rappresenta una prospettiva nuova per la gestione del rischio sismico e vulcanico, non solo ai Campi Flegrei ma anche in altri contesti simili nel mondo.

“Molti studi retrospettivi condotti in varie parti del mondo ci indicano come in alcuni contesti i forti terremoti siano anticipati da fasi preparatorie – ricorda Picozzi – Capire come queste fasi avvengano e si comportino studiando la deformazione del suolo e l’evoluzione nello spazio e nel tempo dei piccoli terremoti, spiega, può aiutare a prendere decisioni più tempestive e informate in caso di crisi”.

L’obiettivo del gruppo di ricerca è ampliare lo studio in sinergia tra università, Ingv e Ogs con nuovi dati e applicarlo ad altri sistemi vulcanici attivi. “La complessità dei fenomeni è nota. Credo che grazie allo sforzo congiunto di vulcanologi e sismologi e approcci multidisciplinari si possa affinare la capacità predittiva e compiere passi importanti verso una gestione sempre più proattiva del rischio sismico”, conclude Iaccarino.

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