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“Apologia” al Teatro Mercadante: Un ritratto familiare tra il dramma e la commedia

“Apologia”: il dramma familiare in scena al Mercadante fino al 2 febbraio.

Con Elisabetta Pozzi, la regia di Andrea Chiodi, traduzione di Monica Capuani. “Apologia” è una commedia dello scrittore greco-britannico Alexi Kaye Campbell, considerato tra gli autori più rappresentativi e originali della drammaturgia contemporanea.

Un momento di serenità, una chance per rivedersi si trasforma in una resa dei conti cadenzata da antichi rancori e incomprensioni irrisolte. “Apologia”, che oscilla tra il dramma e la commedia, è il ritratto di una famiglia disfunzionale britannica che si riunisce in occasione del compleanno della madre Kristin Miller (Elisabetta Pozzi), storica dell’arte combattiva e progressista che ha speso tutta la sua vita ad inseguire successo e ideali trascurando i due figli, affidati al padre dopo il divorzio: Peter (Christian La Rosa), lo spregiudicato banchiere che “prende senza dare” e Simon (Emiliano Masala), il romanziere fallito e squattrinato.

Il recente libro autobiografico scritto dalla protagonista, dal titolo eponimo “Apologia”, diventa l’elemento scatenante che riapre profonde fratture: non accennare minimamente ai figli nel memoriale è considerato l’ennesimo e reiterato errore di una madre giudicata da sempre assente e anaffettiva.

In un’unica e lunga serata si consuma il dramma di ognuno, si rivivono ricordi, si riaprono insanabili ferite in un’escalation di gesti isterici e liti che culminano con il tanto atteso arrivo di Simon, che avviene solo tra la fine del primo e l’inizio del secondo atto grazie a un effetto scenografico efficacemente costruito. Il giovane, in un intenso dialogo con la madre che sembra non volerlo ascoltare, decide finalmente di restituirle tutto il suo dolore.

Lo spettatore è catapultato all’interno di un quadro familiare in cui si muovono i sei protagonisti dipinti con sapiente capacità descrittiva e indagati nella loro profondità e complessità psicologica. Pur trattandosi di una tranche de vie privata, la preziosità dei particolari rende particolarmente agevole l’immedesimazione e l’empatia dinanzi a una vicenda che assume i caratteri di una storia universale.

Tra caustiche battute e qualche risata amara, grazie anche ai momenti di silenzio ben collocati nella struttura narrativa, lo spettacolo riesce ad offrire numerosi spunti di riflessione sull’attualità e tematiche ataviche: il consumismo, l’impegno politico, il rapporto genitori e figli e, più in generale, le difficoltà dei rapporti umani; la rivoluzione artistica di Giotto offre il pretesto per un’interessante considerazione sul delicato rapporto tra l’arte e la fede, in particolare il modo del fiorentino di percepire e modificare sistemi consolidati e immutabili diventa il parallelo delle scelte di vita dei protagonisti.

La conclusione emoziona e ci pone davanti al dramma esistenziale di una donna controversa che, dopo aver provato a rivoluzionare il mondo sulla base dell’insegnamento del suo artista di riferimento e a combattere le ingiustizie in nome dei più nobili ideali del Sessantotto, si ritrova da sola davanti all’incapacità di essere madre. E non può far altro che perdonare se stessa.

Recensione a cura di Roberta Sanguedolce

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