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Decreto Sicurezza: a rischio 18.000 posti di lavoro

Il Decreto Sicurezza taglia i finanziamenti per l’accoglienza: a rischio 18.000 lavoratori, principalmente sotto i 35 anni, tra i quali psicologi, mediatori culturali, insegnanti di italiano, infermieri.

Già prima della sua ufficializzazione lo scorso ottobre, il Decreto Sicurezza è stato al centro di polemiche. Tuttavia, si è discusso troppo poco dei suoi effetti collaterali sulla popolazione. E ora la Cgil lancia l’allarme. A sei mesi dalla sua entrata in vigore, cos’è cambiato nel sistema dell’accoglienza?

Si era già accennato alle conseguenze del decreto dopo la brusca chiusura del CARA di Castelnuovo di Porto (RM), e ci si era chiesti che fine avrebbero fatto i 110 membri del personale, da un giorno all’altro, senza lavoro. Oltre alla chiusura di diversi centri di accoglienza, il decreto riduce fortemente il budget destinato ai servizi.

L’allarme occupazionale

La conseguenza? Minore assistenza sociale-psicologica-legale, mediazione linguistico-culturale, e insegnamento della lingua italiana per i circa 131.000 ospiti dei centri di accoglienza in Italia, con perdita di occupazione qualificata, principalmente giovanile (under 35), che interessa soprattutto psicologi, insegnanti, mediatori linguistico-culturali, infermieri, medici.

Si rischia una disoccupazione che supererebbe il 40%, all’incirca 18.000 operatori su 40.000 posti occupati nel 2018 nel sistema accoglienza di CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo), CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) e SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), come denunciano le stime della Fp Cgil. La situazione si aggrava se pensiamo che i giovani professionisti che rischiano il posto a causa dei tagli non beneficeranno di ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione. Sarebbe necessario“individuare per loro percorsi di riqualificazione e ricollocazione nel sistema dei servizi e introdurre misure di sostegno al reddito”, come sostiene la Fp Cgil.

I “famosi” 35 euro

Il decreto riduce da 35 a 21 euro (in media) la disponibilità economica giornaliera per ogni richiedente asilo, con una forbice che oscilla tra 19 e 26 euro. Tuttavia, come suggerisce InMigrazione, di questi 35 euro solo 2,5 venivano lasciati al migrante per i suoi bisogni personali. Dell’intera somma, il 92% veniva investito nella gestione dell’accoglienza e dei servizi offerti, creando, così, nuovi posti di lavoro. Secondo le stime di InMigrazione, parliamo di quasi un miliardo di euro per la creazione di più di 36.000 posti di lavoro qualificati. “Voci di costo tagliate che comportano un complessivo peggioramento della situazione, con possibili effetti gravi, tanto sui richiedenti asilo accolti, quanto sulla comunità ospitante”, avvertiva il presidente di InMigrazione, Simone Andreotti, in un comunicato stampa dello scorso novembre.

L’impatto sull’occupazione***

È evidente che una riduzione del finanziamento all’accoglienza si traduce nell’impossibilità di offrire servizi adeguati, sia quantitativamente che qualitativamente, con conseguente perdita di posti di lavoro e di idoneità dei servizi. Vediamo in dettaglio alcuni esempi.

Ridotte le ore di lavoro per le professioni sanitarie: nei centri grandi (fino a 300 posti) sparisce la figura del medico reperibile H24, ora richiesta solo per 24 ore settimanali; disponibilità che diminuisce progressivamente fino a 6 ore nei centri piccoli fino a 50 posti. Più radicale la riduzione degli infermieri che scompaiono del tutto nei centri con capienza fino a 150 posti. Questo calo potrebbe costituire un rischio per la salute dei richiedenti, nonché della comunità ospitante.

La riconfigurazione interessa anche altri esperti. Mediatori culturali e assistenti sociali pagano lo scotto della detrazione con un taglio di circa 2/3 al monte ore. I mediatori passano da 36 a 10 ore nei centri più piccoli, laddove le ore per gli assistenti sociali si riducono da 18 a 6. La consulenza legale passa da 24 ore settimanali a sole 3 nei centri piccoli, fino a raggiungere 8 ore nei centri con ricettività fino a 300 posti. Amaramente indicativa l’abolizione di psicologi e insegnanti di italiano L2, due figure decisive nei contesti migratori, dove donne, uomini e bambini hanno vissuto esperienze particolarmente traumatiche, e avrebbero bisogno di strumenti di comunicazione efficaci e immediati.

Il freno all’integrazione

Il processo di integrazione dei migranti comincia nei centri di accoglienza. Perciò, la scelta di tagliare questi servizi comporterebbe anche il rischio per i CAS, le cui falle sono da tempo al centro di polemiche, di trasformarsi in ‘parcheggi’ per migranti, aumentandone l’emarginazione. L’accesso all’accoglienza ordinaria (SPRAR) sarà garantito solo ai migranti con diritto di protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Invece, chi è in attesa di verifica dell’idoneità di richiedente sarà costretto ad aspettare i tempi della burocrazia nei CAS. Teoricamente pensati come luoghi di sosta temporanea, l’accoglienza straordinaria dei CAS è diventata di fatto ordinaria.

Le conseguenze e i rischi a Napoli

Si era parlato di “disobbedienza civile” quando, a gennaio 2019, i sindaci di diverse città italiane, tra cui De Magistris, si erano dichiarati contro alcuni effetti del decreto sicurezza.

L’attuale ridimensionamento delle strutture SPRAR (che di fatto ne mortifica e riduce drasticamente le potenzialità e le capacità di accoglienza) e l’impossibilità di iscrivere i richiedenti asilo ai circuiti anagrafici produrrà intere sacche di persone abbandonate, escluse, emarginate, aumentando, di fatto, anche la possibilità di conflitto sociale con la popolazione locale e, in ultimo, renderà praticamente impossibile, per le Commissioni territoriali, rintracciare i richiedenti asilo sui territori per comunicare le date delle audizioni o i loro esiti” – si legge nel comunicato del Comune del 15 gennaio scorso.

Al 21 marzo 2019, in provincia di Napoli l’accoglienza dei richiedenti asilo nei CAS è fornita da 79 operatori, di cui 17 nel solo capoluogo campano, per un totale di 845 posti sui 3117 conteggiati nell’intera provincia*. In rifermento all’accoglienza ordinaria negli SPRAR, al gennaio 2019, in Campania erano attivi 89 progetti (su 875 nazionali), con una disponibilità di 2.883 posti, di cui 209 occupati da minori non accompagnati.** In questo scenario, Napoli fornisce un solo progetto con 132 posti, mentre i restanti progetti in provincia sono 11, con una capacità che oscilla tra 22 e 116 posti per centro.**

È vero che la negligenza di alcuni gestori di CAS ha contribuito alla permanenza di tanti migranti ben oltre il tempo dovuto e che in alcune strutture l’assistenza è carente. Tuttavia, limitare le risorse a disposizione dei centri di accoglienza potrebbe peggiorare le condizioni attuali, declassandoli a meri punti di raccolta migranti. Inoltre, le sostanziose riduzioni di personale interesseranno molti lavoratori, spesso precari, in una regione, la Campania, che già soffre l’aumento della disoccupazione, nel 2018 superiore al 15,2% (dati Eurostat).

Inoltre, il rischio della trasformazione dei CAS in aree di sosta permanente e dell’inattività dei richiedenti asilo sarebbe critico per il territorio campano. Ciò potrebbe, infatti, incentivare il lavoro in nero e/o lo sfruttamento, per non parlare della possibilità dell’assorbimento dei migranti nella filiera delle attività illegali e irregolari, con conseguente inasprimento del conflitto sociale.

Il bando a Napoli

Disponibile fino al 26 aprile prossimo sul sito della prefettura di Napoli la gara d’appalto per i servizi di accoglienza ai migranti in centri collettivi di accoglienza. Si parla di centri piccoli e medi (6-50 posti e 51-100 posti), proprio i più colpiti dalle misure del dl, secondo InMigrazione.

Stabiliti servizi di assistenza generica alla persona, sanitaria e fornitura di pasti e pulizia. In perfetta linea con quanto previsto dal decreto sicurezza su scala nazionale, vediamo, però, una riduzione di ore per tutti i profili professionali, e l’assenza di alcune figure come gli insegnanti di italiano. Trattandosi di centri piccoli e medi, assenti anche gli infermieri, mentre mediatori culturali, assistenti sociali e legali saranno disponibili per un massimo di 8, 12 e 6 ore settimanali, rispettivamente. Riduzioni anche per il coordinamento dei CAS: più che dimezzata la sorveglianza diurna e ridotta a 4 ore quella notturna nei centri con meno di 50 posti.

Posto che disponibilità e qualità di servizi a favore dell’integrazione sono requisiti necessari per non scadere in una logica meramente assistenzialistica, resta da vedere fino a che punto le nuove condizioni varate dal decreto saranno sostenibili per i centri di accoglienza e per i loro ospiti. A rischio non solo il lavoro di migliaia di lavoratori, ma anche il processo di acquisizione dell’autonomia sociale/lavorativa per i migranti.

 

*Dati disponibili sul sito della prefettura di Napoli 

** Dati Sprar 2019

*** Dati forniti da InMigrazione e da Cgil

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