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Un mare di plastica: i fondali del Golfo di Napoli tra i più inquinati

L’ISPRA lancia l’allarme: fondali marini pieni di rifiuti, il 77% è plastica. Concentrazioni sui fondali rocciosi del Golfo di Napoli tra le più alte.

Quando si parla di rifiuti, tocchiamo davvero il fondo. A due settimane dall’ultima mobilitazione globale organizzata dal movimento internazionale FridaysForFuture, arrivano, come una doccia fredda, i dati del recente studio condotto dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dal Sistema per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) per monitorare la qualità dei nostri mari. Secondo questa indagine, più del 70% dei rifiuti marini è depositata sui fondali italiani e di questi il 77% è costituito da plastica.

È risaputo, ormai, che la plastica è uno dei nemici più insidiosi per l’ambiente e per l’uomo. Con una decomposizione estremamente lenta, fino ad un millennio, la plastica tende ad accumularsi sulle spiagge, nei mari e negli oceani, infiltrandosi perfino nella catena alimentare, con conseguenze mortali per gli ecosistemi, per gli animali e per gli esseri umani.

Un mare di plastica

Innumerevoli studi hanno evidenziato la pericolosità dell’inquinamento da plastica. Ad ulteriore conferma di ciò, ISPRA e SNPA hanno lanciato l’allarme sulla base di uno studio condotto per monitorare la qualità dei nostri mari. “La situazione che ne emerge – si legge nel comunicato dell’ISPRA*appare molto grave e rappresenta la prima base conoscitiva di riferimento sulla quantità dei rifiuti marini nei diversi comparti (fondali marini, colonna d’acqua e spiagge).

In generale, sono circa 8 milioni le tonnellate di plastica che, ogni anno, finiscono in mare. Di queste, il 7% si deposita nelle acque del Mediterraneo. Una delle discariche sottomarine italiane più grandi è il Mare di Sicilia, dove sono stati ‘pescati’ 786 oggetti, per un peso complessivo superiore ai 670 kg. A seguire, la Sardegna che, nelle sue 99 cale, ‘ospitava’ 403 oggetti per un peso di 86,55 kg.

Studi precedenti hanno confermato trend pericolosi per l’Italia. Secondo il rapporto del progetto Seas At Risk (2017), l’Italia è uno dei sei più grandi consumatori europei di plastica. Lo stesso rapporto riporta i risultati di uno studio di Legambiente (2016) secondo il quale il 22,3% dei rifiuti ritrovati sulle spiagge italiane è costituito da pezzi di plastica e polistirene, mentre il 7,5% da bottiglie di plastica. Inoltre, il rapporto del WWF (giugno 2019) conferma l’Italia come il maggiore produttore di beni di consumo in plastica dell’area mediterranea. Quasi paradossalmente, però, grazie alla sua immensa estensione costiera, risente particolarmente dell’inquinamento da plastica. Il rapporto afferma che, nel 2016, sono state disperse nel Mediterraneo 53.000 tonnellate di rifiuti plastici, di cui il 24% tende a finire sulle coste entro un anno.

I fondali italiani

Allarmante la situazione dei fondali italiani” – osserva l’ISPRA. L’area Adriatico-Ionica accoglie una media di 300 rifiuti per km2, di cui l’86% è costituito da plastica, sopratutto plastica usa e getta (77%). Le zone con una maggiore densità di rifiuti accumulati sui fondali adriatico-ionici sono: l’area costiera a sud del delta del Po, con 983 rifiuti al km2, le aree a nord e a sud di Corfù, con 910 e 829 rifiuti per km2 rispettivamente, e i fondali che fronteggiano Dubrovnik, con 559 rifiuti per km2.

I rifiuti più comuni? Shoppers, imballaggi alimentari e industriali, retine per la mitilicoltura e le immancabili bottiglie di plastica. L’ISPRA ha anche rilasciato un video che evidenzia i danni dell’uomo sul mare e sugli ecosistemi marini.

I fondali rocciosi

Triste primato per il golfo di Napoli, i cui fondali rocciosi si rivelano (nuovamente) tra i più inquinati. Secondo i dati dell’ISPRA, ad una profondità che va dai 20 ai 500 metri, i fondali rocciosi che presentano più alte concentrazioni di rifiuti sono quelli del Mar Ligure, con 1500 oggetti ritrovati per ettaro, del Golfo di Napoli, con 1200 oggetti per ettaro, e quelli lungo le coste siciliane, dove sono stati ritrovati 900 oggetti per ettaro.

Il Golfo di Napoli

Il Golfo di Napoli aveva già fatto parlare di sé. Nel 2018, un dossier, pubblicato da Greenpeace Italia, con l’Istituto di Scienze Marine del CnR di Genova e l’Università Politecnica delle Marche, ha identificato Portici come l’area con la più alta densità di microplastiche tra quelle analizzate: 3,56 per m3. Tuttavia, il problema era rappresentato anche da altre plastiche, la maggior parte delle quali era riconducibile al polietilene, il polimero che compone le principali plastiche per packaging e imballaggi usa e getta. Inoltre, secondo il WWF** Napoli è una delle città costiere che producono più rifiuti, insieme a Catania, Venezia, Bari, Roma, e Palermo.

Dunque è necessario agire in fretta, per arginare il problema. A questo proposito, sono in atto diversi piani di sensibilizzazione, condotti da numerose associazioni. Ricordiamo, per esempio, le iniziative nell’ambito del progetto #BreakFreeFromPlastic, come il Brand Audit di Greenpeace Napoli a Portici, e il Blueblitz ad Ischia.

Quale strada verso il mare?

Una delle corsie preferenziali per lo sversamento dei rifiuti in mare è rappresentata dai fiumi. Attraverso un’operazione di monitoraggio, condotta nell’ambito del progetto europeo MedSeaLitter (2017 – 2018), l’ISPRA ha rivelato che sono proprio le foci dei fiumi a raccogliere il maggior quantitativo di macro-rifiuti galleggianti (> 1000 oggetti per km2). Man mano che ci si avvicina alla costa, i numeri si riducono, con valori che oscillano tra i 10 e i 600 oggetti per km2. Quantità decisamente inferiori quando ci si allontana verso il mare aperto, dove gli oggetti sono compresi in un range che va da 1 a 10 per km2.

Non solo mare

Tuttavia, i rifiuti non si accumulano solo sui fondali che, tra l’altro, “sono quasi impossibili da ripulire“- afferma il WWF.** L’ISPRA avverte che in superficie la densità di macro-plastiche oscilla tra i 2 e i 5 oggetti per km2, mentre quella di microplastiche (< 5mm) è compresa tra 93mila e 2014mila micro-particelle per km2. Anche i litorali sono duramente colpiti dall’accumulo di rifiuti: sulle nostre spiagge, infatti, ogni 100 metri ritroviamo in media dai 500 ai 1000 rifiuti. “La plastica che si deposita sui fondali marini” – avverte il WWF – “è 9 volte meno di quella che si accumula sulle coste.

Pescatori di plastica

Per l’osservazione ed il controllo dei fondali marini, l’aiuto dei pescatori risulta essenziale. In particolare, l’ISPRAR fa sapere che, in 6 anni, sono state rinvenute 194 tonnellate i rifiuti, incastrati nelle reti di 224 pescherecci. I rifiuti sono stati raccolti durante il monitoraggio dei fondali marini condotto nell’Adriatico dal 2013 al 2019 e i pescherecci utilizzati erano coinvolti in due progetti di ricerca europei: Defishgear e Mlrepair. Inoltre, l’ISPRAR aggiunge: “solo nella marineria di Chioggia raccolte 45 tonnellate.

Un pericolo per tutti

Il problema dei rifiuti marini non è solo una questione ambientale. In uno studio europeo internazionale Indicit condotto dal 2017 al 2019, sono stati analizzati i rifiuti ingeriti da 1406 esemplari (458 vivi e 948 morti) di tartarughe Caretta Caretta, che sono viste come un indicatore ambientale essenziale per monitorare la quantità e la distribuzione delle plastiche nel Mediterraneo.

In particolare, il 63% degli esemplari aveva ingerito plastica, mentre quasi il 58% delle tartarughe vive presentava plastica nelle feci. Questo studio sottolinea la pericolosità dell’inquinamento da plastica, non soltanto per il mare, ma anche per i suoi abitanti e, di conseguenza, per gli esseri umani. I risultati ottenuti hanno ulteriormente confermato che gli oggetti di plastica si spostano anche su lunghe distanze, seguendo le correnti marine ed entrando nella catena alimentare. Tuttavia, uno dei dati più allarmanti di questo studio italiano risiede nella consonanza dei valori rilevati con quelli raccolti in tanti altri studi effettuati in altre aree marine del Mediterraneo e non solo. Questo evidenzia la dimensione globale dell’inquinamento marino (e non) da plastica che, se non contrastato adeguatamente, rischia di condannare il pianeta ad una lenta agonia.

* I dati forniti dall’ISPRA sono disponibili in un comunicato stampa.

** Dati pubblicati nel rapporto del WWF (giugno 2019) “Fermiamo l’inquinamento da plastica”.

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