martedì, Aprile 16, 2024
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Dante, bussola del presente: 5 versi danteschi, divenuti proverbiali

Dante, bussola del presente: prosegue la nostra rubrica per celebrare l’anno dantesco con la top 5 di versi danteschi divenuti ormai proverbiali, parte del nostro linguaggio quotidiano.

Quante volte, nel quotidiano, utilizziamo o sentiamo versi danteschi come se fossero veri e propri proverbi, custodi di una secolare saggezza? In effetti di secoli ne sono passati ben sette da quando Dante li ha scritti nella sua Commedia. Alcuni versi sono celebri, di altri invece ne abbiamo dimenticato la provenienza. Un esempio di questi ultimi è “cosa fatta capo ha”, inversione di un verso dantesco che esprime che “ciò che è fatto è fatto” (capo ha cosa fatta, Inferno XXVIII, v. 107).

Nelle scuole, nella maggior parte dei casi, ci si concentra per lo più sulla prima cantica. Quindi, forse, non è un caso che nella nostra top five ci siano celebri espressioni tratte proprio dall’Inferno dantesco.

Ed eccoli qui, i 5 versi danteschi divenuti proverbiali, parte ormai del nostro linguaggio quotidiano.

Senza infamia e senza lode (Inferno III, vv. 35 – 36)

Siamo nel terzo canto dell’Inferno, forse uno tra i più celebri dell’intera opera. In esso troviamo ben tre espressioni proverbiali in uso ancora oggi. La più usata è forse proprio quella tratta dal verso 36 che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo: è il modo di Virgilio di descrivere gli ignavi a Dante. L’espressione “senza infamia e senza lode” si usa nell’italiano corrente proprio per dare un giudizio mediocre su qualcosa o qualcuno.

Sempre in riferimento agli ignavi, Virgilio dice al poeta fiorentino: non ragioniam di lor, ma guarda e passa (v. 51). Nella forma “non ti curar di lor, ma guarda e passa”, anche tale verso è usato tutt’oggi. Esprime indifferenza, forse “l’arma” migliore contro insulti e detrattori.

Nel medesimo canto, nelle prime tre terzine, Dante riporta la descrizione di quanto legge sulla porta dell’Inferno. Proverbiale è l’ultima frase, usata per presagire qualcosa di negativo (spesso usata anche con ironia): lasciate ogni speranza voi ch’entrate! (v. 9).

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse (Inferno V, v. 137)

Il verso è tratto dal celeberrimo quinto canto dell’Inferno, quando il poeta fiorentino incontra i lussuriosi Paolo e Francesca. È proprio lei che usa tale espressione mentre racconta a Dante ciò che l’ha condannata all’inferno, insieme al suo amato. Così come Galeotto, alto funzionario della regina Ginevra, ha fatto da tramite tra lei e Lancillotto, così il romanzo del ciclo bretone ha fatto scoppiare la passione tra Paolo e Francesca. Il nome proprio di Galeotto è così divenuto nell’italiano odierno un nome comune per indicare “ciò o colui che fa da tramite”.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza (Inferno XXVI, v. 119 – 120)

Inevitabile inserire i due versi dell’ “orazion picciola” pronunciata dall’Ulisse dantesco per esortare i suoi compagni. Nel canto 26 dell’Inferno, Dante ci dà una vera e propria lezione di vita attraverso le parole del personaggio omerico: l’essere umano è “fatto” per vivere all’insegna della curiosità, per vivere in maniera degna della propria natura e per superarne i limiti.

E sicuramente c’è chi ha seguito il consiglio dell’Ulisse dantesco. Se l’uomo non avesse superato le “proprie colonne d’Ercole”, oggi forse non avremmo mezzi come l’aereo, il computer, il cellulari e tanti altri ancora, che ci hanno permesso di superare molti dei limiti umani.

Stanno freschi (Inferno XXXII, verso 117)

Non tutti sanno che l’espressione napoletana “staij fresc’” deriva proprio dalla Divina Commedia. Nel canto XXXII della prima cantica, Dante descrive il gelo che caratterizza le profondità dell’inferno, dove si trova il lago del Cocito, nel quale sono immersi i dannati. L’espressione “stai fresco” è tratta infatti dal verso 117 (là dove i peccatori stanno freschi) ed è tutt’oggi usata ironicamente per indicare qualcosa che non accadrà o per indicare che ci si trova nei guai.

Il bel paese (Inferno XXXIII, v. 80)

Siamo nel penultimo canto dell’Inferno, dove Dante scrive: Ahi Pisa, vituperio de le genti // del bel paese là dove ‘l sì suona, // poi che i vicini a te punir son lenti (vv. 79 – 81). Tutt’oggi, infatti, uno dei modi usati per citare la nostra nazione è “il bel paese”. Italia, bel paese per il clima, per il paesaggio, per la gastronomia, ma soprattutto per la cultura.

 

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