Fabbriche abusive di mascherine: sequestri, sanzioni e denunce per i titolari. Producevano materiale anti-contagio non sicuro e contraffatto.
Il comando provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, ha sequestrato una fabbrica abusiva, destinata alla produzione e al confezionamento di mascherine, camici e tute antivirali e più di 4mila dispositivi di protezione individuale non sicuri, con loghi contraffatti e tutte le attrezzature (macchinari per la cucitura, il taglio e la stiratura).
L’operazione ha visto lo svolgersi di due distinti interventi, tra le province di Caserta e di Napoli. La Guardia di Finanza di Frattamaggiore ha scoperto a Succivo (Caserta) una fabbrica di mascherine illegale e 38.000 prodotti fra mascherine, camici e tute antivirali, tutto pronto per essere messo in commercio. Sono state anche trovate ben 10.000 false etichette ”made in Italy”.
Denunciato all’autorità giudiziaria un 53enne di origini pakistane per contraffazione, ricettazione e frode in commercio, oltre che per violazioni in materia ambientale e di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Sanzionate anche altri cinque lavoratori dell’azienda per il mancato rispetto delle misure di sicurezza anti-contagio.
Le Fiamme Gialle hanno poi sequestrato, in un negozio di abbigliamento del quartiere Ponticelli di Napoli, 1700 capi di abbigliamento contraffatti e 4.000 mascherine per bambini, prive della certificazione obbligatoria di conformità sanitaria e delle informazioni dovute al consumatore, senza garanzia di sicurezza anti-contagio e risultando persino potenzialmente dannose. Denunciato un 34enne di origine cinese residente al Centro Direzionale di Napoli.
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Cosa significa l’espressione “L’uocchie sicche so’ peggio d’e scuppettate”? Questa settimana #BussoLaLingua ve lo racconta!
Una cosa a cui non c’è rimedio
Il popolo Napoletano si è sempre mostrato resistente a qualsiasi sventura ed intemperia. Leggendaria è diventata la capacità di sopportazione della città di Napoli, che ha resistito a guerre e carestie e che ha sempre dovuto lottare per liberarsi dagli invasori.
Talvolta le reazioni alle difficoltà sono dimostrazioni di forza, altre volte invece si manifestano nell’ormai leggendaria “arte d’arrangiarsi“, che altro non è se non la declinazione estrema di una capacità d’adattamento capace di piegarsi anche alle situazioni più sgradevoli.
La storia e la tradizione a Napoli ed in Campania insegnano che a tutto c’è rimedio ed a tutto si può reagire – o quasi. C’è infatti una cosa davanti a cui la superstiziosa città partenopea si mostra inerme o quasi: il terribile malocchio.
Il malocchio
Il malocchio è una maledizione che nasce dagli occhi socchiusi degli invidiosi, i famosi “occhi secchi“. Leggenda vuole che spesso venga lanciata di proposito, proprio come farebbe una strega crudele, ma che, talvolta, capiti che una persona maledica l’oggetto della sua invidia senza nemmeno rendersene conto: per questo essere invidiosi è, tra queste strade, un peccato imperdonabile che porterà inevtabilmente a conseguenze incontrollabili.
Il malocchio è sventura, che perseguita senza pietà la persona maledetta. E’ qualcosa che le leggende raccontano come ineluttabile e quasi invincibile e per questo si dice che L’uocchie sicche so’ peggio d’e scuppettate – ovvero, Gli occhi secchi sono peggio dei colpi di fucile, cioè è considerata molto peggiore la maledizione lanciata dagli occhi secchi che un proiettile.
L’occhio del diavolo
Contrastare gli occhi secchi: una battaglia persa
Ci sono diversi modi per tentare di combattere gli “occhi secchi” – nessuno dei quali, anche secondo le leggende, molto efficace.
Per esempio sembrerebbe utile munirsi dei celebri cornetti, che portano fortuna in generale e non solo contro il malocchio – rigorosamente regalati, più fortunati ancora se con la punta spezzata e che siano possibilmente di corallo o giada.
Oppure, come in Turchia, indossare o portare con sé l’occhio di Allah, conosciuto al di fuori della regione anche come occhio del diavolo. Si tratta di un ciondolo, spesso (ma non sempre) di colore azzurro che rappresenta appunto un occhio. Indossarlo contrasterebbe l’azione degli jettatori e degli occhi secchi, in Turchia come in Campania.
C’è infine un rituale per capire se si è vittima del malocchio, tanto semplice quanto improbabile: per realizzarlo è necessario recarsi dalla donna più anziana della famiglia o della città. Questa, dopo aver chiesto il favore di Dio, verserà tre gocce d’olio in una ciotola colma d’acqua. A questo punto, c’è da aspettare un po’; e se dopo qualche tempo le gocce d’olio si saranno dissolte, con loro sarà sparito anche il malocchio. Altrimenti, si dovrà ripetere il rito.
L’uocchie sicche so’ peggio d’e scuppettate
Sebbene sia davvero difficile incontrare qualcuno che crede seriamente al malocchio, il modo di dire L’uocchie sicche so’ peggio d’e scuppettate è ancora utilizzato spesso anche se in un senso un po’ diverso, cioè intendendo che l’invidia sia peggio di un colpo di fucile e che sicuramente faccia più spesso danno di un proiettile.
Che siate o meno superstiziosi, è innegabile che questo mostro dagli occhi verdi nella vita quotidiana di ciascuno di noi, provochi più incomprensioni, malanimi e problemi di tante altre cose.
Che vogliate farlo attraverso cornetti, occhi turchi, rituali bizzarri oppure scegliendo meglio le vostre compagnie una cosa è certa: fareste meglio a proteggervi dall’altrui invidia.
Se vuoi approfondire la tua conoscenza sulla nostra cultura regionale o leggere altre storie della Campania, non perderti le nostre rubriche sulle Leggende e sui Sapori della nostra regione : #BussoLaLeggenda e #BussoLaTavola
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Un 40enne, disoccupato e con una storia molto forte alle spalle, trova un portafogli con 400 euro e lo restituisce al proprietario che lancia un appello per aiutarlo a trovare lavoro.
Trova un portafogli con 400 euro e lo restituisce al proprietario. Un uomo di 40 anni del Rione Sanità, Federico Cuomo, disoccupato e con una storia molto forte alle spalle, compie un grandissimo gesto di onestà nei confronti del legittimo proprietario del portafogli, il magistrato Paolo Itri, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Ecco le sue dichiarazioni a “La Repubblica”:
“Ho fatto solo quello che ogni persona dovrebbe fare. Essere onesto in una città che ha tanto bisogno di legalità”.
Federico Cuomo è un ex collaboratore della mensa per i poveri nel quartiere San Ferdinando ed è stato licenziato lo scorso mese di settembre senza alcun preavviso. Ha raccontato la sua storia con grande commozione:
“Ero andato con mia figlia di 12 anni a pescare alla Riviera di Chiaia quando al rientro, non molto distante dalla stazione ferroviaria di Mergellina, ho visto il portafogli in strada. Stavano per raccoglierlo altre persone, sono stato costretto ad alzare la voce per prenderlo io. Ho temuto che non lo avessero restituito”. Federico ha alle spalle una storia difficile: è cresciuto in un quartiere a rischio, conosce bene il valore delle piccole cose. “L’ho subito aperto per cercare un documento del proprietario e ho visto che c’erano anche carte di credito e 400 euro in contanti. Mia figlia mi ha guardato fisso negli occhi, un po’ disorientata, voleva dirmi che è la somma che sarebbe servita per pagare un mese di fitto arretrato. Ma prima che parlasse gli ho detto che questi soldi non erano i nostri e che bisognava restituirli”.
Una volta tornato a casa, ha cercato il legittimo proprietario su Facebook:
“Non sapevo si trattasse di un magistrato. Gli ho subito inviato un messaggio in privato e gli ho chiesto di contattarmi”.
Si sono incontrati, dopo poco, a piazza Mazzini:
“Mi ha ringraziato mille volte e ha anche tentato di darmi una ricompensa. Ma io l’ho rifiutata. I soldi si guadagnano con il lavoro e con i sacrifici. E io adesso sto cercando proprio un lavoro…”.
Ha raccontato di esser cresciuto da solo perché i suoi genitori sono morti da giovani e ha anche dovuto dormire per anni in una vecchia autovettura. Sposato e con due figli, si è lasciato il passato alle spalle, un passato che avrebbe potuto condurlo su una strada non poco felice ma lui ha deciso di cambiare e ora aiuta chi ha bisogno e ha intrapreso anche un cammino spirituale.
La storia di Federico ha commosso anche il magistrato Paolo Itri che ha lanciato un appello per il giovane:
“Il gesto di questo ragazzo è garanzia di onestà. Ora cerca lavoro, se c’è qualche imprenditore che ha bisogno di un lavoratore onesto lo contatti”.
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Il Caffè a Napoli non è solo una bevanda: è un elisir profumato, una pozione magica che scotta e che sa di casa. L’odore del caffè aleggia sempre tra le strade e le case della città partenopea, rievocando sensazioni e ricordi sigillati nel sapore di questa sacra libagione.
Sì, il caffè è sacro: è un rituale che, una volta appreso, diventa irrinunciabile. C’è un modo giusto, tutto napoletano di gustarlo – con lentezza, in quelle tazzine spesse, di ceramica e sempre bollenti – che trasforma il gusto del caffè in un rito magico. E’ vietato tracannarlo di fretta, senza nemmeno una chiacchiera; annacquarlo troppo nell’acqua è un’eresia.
Il caffè non è solo qualcosa da bere, da mandar giù: è il simbolo di un certo buon vivere che è proprio della tradizione campana e partenopea, di una lentezza di gesti e sorrisi che è propria delle terre della nostra regione e soprattutto di Napoli. Il caffè si beve chiacchierando, leggendo un giornale, guardando il mare, e per berne una tazzina può essere necessaria anche più di mezz’ora.
Il caffè, a Napoli, non si beve: si vive.
Non tutti sanno, però, quali siano le vere origini del caffè e come sia giunto a Napoli. Da dove arrivano questi preziosi chicchi? E chi ha pensato, per la prima volta, di macinarli e farne una bevanda? Che differenza c’è tra la caffettiera napoletana e la Moka?
Questa settimana, #BussoLaTavola intraprende con voi un lunghissimo viaggio che parte dall’Etiopia e che, passando per Vienna, si conclude a Napoli. Ecco quindi per voi, cari lettori, la storia del Caffè e delle Caffettiere.
Prima di leggerla, una raccomandazione: mettete sul fuoco la Moka o la Cuccumella. Quando il caffè verrà su, potrete gustarlo conoscendo bene la sua storia. Si sa, quando si comprende profondamente qualcosa, c’è più gusto nel consumarla.
La leggenda di Kaldi e delle sue capre: l’Etiopia
Le origini del caffè affondano le loro radici nella lontana Etiopia. E’ qui che l’amata pianta nasce e da qui si inizia a diffondersi in Arabia ed in Turchia.
C’è una leggenda che racconta di come si siano scoperte le proprietà eccitanti della pianta, di cui esistono tuttavia diverse versioni. In tutte, i protagonisti sono un pastore di nome Kaldi e le sue affamate ed irrequiete caprette.
Un giorno come tutti gli altri, il giovane Kaldi decise di portare le sue capre in un luogo diverso dal solito, dove la vegetazione gli pareva più ricca e verdeggiante e dove lui sarebbe riuscito con più facilità a trovare un’ombra sotto la quale ripararsi.
Tutto andò bene fin quando, all’improvviso, dopo aver brucato per un po’, le capre iniziarono a comportarsi in modo assai strano: correvano senza sosta, caricavano qualsiasi cosa si muovesse e saltavano più in alto di quanto il giovane pastore avesse mai visto fare a qualsiasi bestia.
Kaldi, preoccupato, cercò di calmare le capre, ma invano. Dopo diverso tempo, le bestiole tornarono alla normalità, ed il pastore vide che avevano ingurgitato delle bacche che lui non aveva mai visto, rosse e lucide.
Pianta di caffè
Il giovane raccolse incuriosito alcune di quelle strane piante e, tornato a casa, tentò di mangiare le bacche: ma non appena le masticò le sputò, poiché avevano un sapore davvero strano e sgradevole. Deciso a comprendere che cosa fosse accaduto, secondo alcune versioni della leggenda Kaldi portò le bacche da un sacerdote islamico di un vicino monastero.
Spiegato al sacerdote quel che era accaduto, raccontando dello strano comportamento delle caprette e del brutto sapore delle bacche, Kaldi vide l’uomo scuotere la testa con aria di disapprovazione. Il sacerdote disse al pastore che il consumo di quelle bacche era immorale e contro la legge e la volontà di Dio, così le lanciò nel fuoco.
Così facendo, però, nella stanza si diffuse un profumo davvero invitante. Il giovane Kaldi, disobbedendo al sacerdote, recuperò i chicchi tostati dal fuoco e li mise nell’acqua calda: nacque così, secondo la leggenda, il primo caffè etiope.
Qahwa e Kahve
Nella leggenda del pastore Kaldi, il caffè viene chiamato in seguito con il nome di Kahve, parola turca che deriva da keyif, di origine araba, che vuol dire, “gaiezza”.
La mescolanza di lingue che hanno prodotto il nome con cui nella leggenda è noto il caffè denunciano la successiva diffusione della bevanda, che arrivò in breve tempo in Arabia – dove veniva chiamato Qahwa (che significa “eccitante”) e poi in Turchia.
Il Qahwa ancora oggi indica uno speciale tipo di caffè, il caffè arabo: si tratta di una speciale miscela preparata unendo nella caffettiera stessa caffè, zucchero e cardamomo. Quando il liquido giunge ad ebollizione, si toglie la caffettiera dal fuoco e la si lascia riposare; dopo aver ripetuto quest’operazione per ben tre volte, si versa il liquido bollente in alcune tazzine, rigorosamente senza manico.
Cezve turco
Anche la Turchia è ancora profondamente legata al consumo di caffè: è per loro una tradizione non meno importante che per i napoletani.
I turchi furono i primi a preparare la bevanda non facendo bollire i chicchi interi del caffè ma utilizzando una miscela macinata. Per preparare un vero caffè turco è necessario usare una caffettiera particolare, chiamata Cezve, fatta d’ottone o rame. La differenza principale rispetto al caffè che consumiamo in Italia è che nella tazza venga versata anche la polvere di caffè – tradizione vuole che, dopo aver bevuto la bevanda, si esegua una divinazione basata sull’interpretazione dei disegni lasciati dalla polvere di caffè sul fondo della tazzina. Non è insolito, nelle caffetterie turche, vedere persone sorseggiare un caffè mentre sono impegnate in lunghissime e complicate partite a scacchi.
Esiste un detto, in Turchia, che recita così:
Bir kahvenin kırk yıl hatırı vardır
ovvero
Un caffè si ricorda per quarant’anni.
Il primo amore europeo: Vienna ed il caffè
Sembra che la prima città europea ad aver apprezzato il caffè sia stata Vienna.
Qui la bevanda veniva consumata in grandissime quantità, ed addirittura le vennero dedicati dei negozi e bar specifici, chiamati Kaffeehaus. Proprio come oggi accade a Napoli, il caffè a Vienna veniva e viene consumato con lentezza: nei Kaffeehaus si legge il giornale e si chiacchiera, si gioca a biliardo e si ride insieme ad amici e colleghi.
Sembra che il primo Kaffeehaus sia stato aperto nel 1685, quando Johannes Diobato, giovane armeno, ebbe il permesso di aprire un locale dove servire il caffè turco.
Una leggenda racconta invece che il consumo di caffè a Vienna si cominciato nel 1683, in seguito all’assedio turco: i turchi avrebbero infatti dimenticato, nella loro ritirata, ben cinquecento sacchi di caffè. I viennesi non avevano idea di cosa contenessero: credevano fosse addirittura cibo per cammelli. Ma poi Joseph Kolshitzky ne comprese finalmente l’utilizzo ed aprì un Kaffeehaus la cui insegna recitava Zur blauen Flasche, cioè Alla bottiglia blu dove consumare caffè turco, che da allora viene chiamato con il nome del locale.
Da Vienna a Napoli
C’è una persona specifica a cui si deve la diffusione del caffè a Napoli: si tratta di Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone.
La bella regina aveva origini viennesi, e cercò quindi di introdurre alla corte napoletana usanze e cibi della sua terra natia. Tra i vari alimenti e bevande che tentò di portare a Napoli, ci fu anche il caffè.
Il caffè, in verità, era già arrivato in Italia: i mercanti veneziani furono i primi ad introdurlo nella nostra penisola, ed attraverso i loro commerci giunse fino alla città partenopea. Inizialmente, tuttavia, il colore scuro della bevanda aveva dissuaso i più dal consumarla: si credeva che il nero del caffè fosse portatore di sventure e jatture. A contribuire alla diffusione di questo superstizioso rifiuto fu anche la Chiesa, che redarguì la popolazione dal consumarlo: il Papa la descrisse più volte come una “bevanda del demonio“.
Tuttavia la giovane Maria Carolina, che amava profondamente il caffè, non si diede per vinta.
Organizzò un ballo e servì a tutti la preziosa e tanto amata miscela, accompagnandola anche con deliziosi Kipferl, ovvero cornetti. Finalmente il caffè conquistò la popolazione napoletana e così nacque il primo Caffè del Regno di Napoli.
I luoghi dove veniva servito il caffè si moltiplicarono, e la città partenopea fece presto scuola nel campo della sua preparazione: la tostatura dei chicchi effettuata a Napoli era diversa da quella realizzata nelle altre regioni d’Italia, e da allora tutti cercarono d’imitare il gusto del caffè napoletano.
Le dicerie napoletane: Pietro della Valle e Alfonso d’Aragona
Esistono delle storie alternative che parlano dell’introduzione del caffè a Napoli, ma si tratta di poco più che leggende, di dicerie.
Una delle storie racconta di un uomo, un musicologo originario di Roma il cui nome era Pietro della Valle che si sarebbe trasferito a Napoli in seguito ad una delusione d’amore. Non riuscendo a trovare pace si trasferì in Terra Santa, dove intrecciò una relazione con una donna di cui si diceva profondamente innamorato.
Durante il periodo trascorso lontano dalla città partenopea, scrisse delle lettere agli amici rimasti a Napoli. In queste missive parlò spesso del kahve, che descriveva come
…un liquido profumato che veniva fuori da bricchi posti sul fuoco, e versato in piccole scodelle di porcellana, continuamente svuotate (e riempite) durante le conversazioni che seguivano il pasto.
Ritornato dalla Terra Santa, la leggenda vuole che Pietro della Valle avesse portato con sé il caffè.
La seconda storia ci dice invece che il caffè sarebbe stato presente a Napoli sin dal 1450. Vi sarebbe arrivato grazie al sovrano Alfonso d’Aragona, che, attraverso i commerci con l’oriente, avrebbe introdotto anche il caffè a Napoli.
Dalla Cocumella alla Moka
Quale che sia la verità sull’arrivo dei preziosi chicchi nella città, a Napoli il caffè veniva preparato con una caffettiera particolare, detta Cocumella ed oggi nota in tutta italia come Napoletana. La Cocumella fu inventata non da un napoletano, ma da un francese il cui nome era Morize.
La Cocumella deve il suo nome ad un termine della lingua napoletana: cuccuma. Il termine cuccuma aveva origini latine – deriva infatti dalla parola cucuma, ovvero paiolo – e veniva usato per riferirsi ad un vaso di terracotta o rame in cui si era soliti far bollire l’acqua. Cocumella sarebbe quindi il diminutivo di cuccuma.
La Cocumella napoletana
L’uso della Cocumella verrà soppiantato dalla Moka, caffettiera realizzata da Luigi de Ponti e Alfonso Bialetti nel 1933. Si tratta di una caffettiera dalla forma ottagonale che utilizza la forza del vapore per spingere l’acqua attraverso il caffè macinato – a differenza della Cocumella che si affidava invece soltanto alla forza di gravità.
Il nome della Moka deriva da Mokha, città dello Yemen nota per la produzione di caffè arabico di qualità estremamente pregiata.
Storia del Caffè e delle Caffettiere
Questa dunque la lunghissima storia del caffè e delle caffettiere. Tra caprette esagitate, viaggi tra oriente ed occidente, regine Viennesi e tante caffettiere, i chicchi di caffè hanno compiuto un incredibile viaggio.
Il tempo di rievocarlo ed ecco che, come previsto, si sente il caffè venir su dalla caffettiera che hai messo sul fuoco prima dell’inizio di questa incredibile storia.
Il caffè va assaporato, odorato, vissuto e solo alla fine bevuto: dopo tutta la fatica che ha fatto per arrivare fino alla tua tazzina, è anche lecito che abbia bisogno di un po’ di riposo.
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Di Anna Menale – Il governatore della Campania Vincenzo De Luca, dopo l’ordinanza firmata ed emessa dal sindaco di Napoli nella serata di ieri sulla movida, ha manifestato il suo disappunto.
Ho scritto al Prefetto, al Questore e al Comandante della Polizia Municipale di Napoli in riferimento all’ordinanza sindacale n.248 del 29 maggio 2020, recante prescrizioni in evidente contrasto con l’Ordinanza regionale n.53.
L’atto è stato inviato per conoscenza anche al Ministro dell’Interno e all’Anci.
“Tale provvedimento è palesemente illegittimo, non soltanto per carenza di potere – in quanto assume a proprio presupposto una situazione di crisi epidemiologica che coinvolge l’intero territorio regionale e detta disposizioni i cui effetti si riverberano ben oltre i confini del territorio comunale – ma altresì e soprattutto per violazione di legge. In particolare per evidente violazione della norma di cui all’articolo 3, comma 2 del decreto-legge numero 19 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge numero 35 del 2020, a tenore del quale “ 2. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali e regionali, né eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1”.
In considerazione della espressa sanzione della inefficacia dei provvedimenti sindacali adottati in contrasto con le misure regionali vigenti, inefficacia sancita direttamente dalla richiamata disposizione di legge, si sollecitano gli Organi dello Stato, le Forze dell’Ordine, la Polizia Municipale a predisporre tempestivamente ogni misura volta a garantire il rispetto rigoroso dell’Ordinanza regionale da parte degli operatori coinvolti. Comportamenti diversi configurerebbero, a tutta evidenza, omissioni rilevanti anche sul piano penale, oltre che in relazione agli aspetti di tutela sanitaria”.
Il presidente della Campania Vincenzo De Luca ha rilasciato una dichiarazione in merito alla mobilità fra regioni.
Tramite la sua pagina Facebook, il politico ha espresso il proprio pensiero sugli spostamenti e le norme da adottare per prevenire nuovi focolai. Ecco il comunicato:
Apprendiamo che ci si avvia dalla prossima settimana a una ripresa della mobilità generalizzata tra le regioni.
La Campania è da sempre impegnata a tutela dell’unità nazionale.
Abbiamo riconfermato la nostra solidarietà incondizionata ai nostri concittadini della Lombardia, e al Presidente Fontana rispetto ad aggressioni che nulla hanno a che vedere con un dibattito politico e di merito civile. Noi non abbiamo dimenticato neanche per un attimo, la tragedia immane che ha colpito tanti territori lombardi e tante famiglie.
Ciò premesso, riteniamo di dover sottolineare che davvero non si comprende quali siano le ragioni di merito che possono motivare un provvedimento di apertura generalizzata e la non limitazione della mobilità nemmeno per le province ancora interessate pesantemente dal contagio.
Si ha la sensazione che per l’ennesima volta si prendono decisioni non sulla base di criteri semplici e oggettivi ma sulla base di spinte e pressioni di varia natura. Si poteva decidere semplicemente – togliendo i nomi delle regioni – che i territori nei quali nell’ultimo mese c’era stato un livello di contagi giornalieri superiore a un numero prefissato (200 – 250 – 300…) fossero sottoposti a limitazioni nella mobilità per un altro breve periodo.
Se la mia regione avesse ancora oggi un livello di contagio elevato, non esiterei a chiedere io, per un dovere di responsabilità nazionale, una limitazione della mobilità per i miei concittadini.
Ciò detto, valuteremo le decisioni del governo, se e quando saranno formalizzate. Adotteremo, senza isterie e in modo responsabile, insieme ai protocolli di sicurezza già vigenti, controlli e test rapidi con accresciuta attenzione per prevenire per quanto possibile, il sorgere nella nostra regione di nuovi focolai epidemici.
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La nostra ordinanza non solo è perfettamente legittima ma è anche doverosa perché attua meglio le prescrizioni sanitarie ed è passata anche attraverso una chiara interlocuzione con il presidente del Consiglio che, nell’incontro in videoconferenza di giovedì scorso con i sindaci delle Città metropolitane, ha preso l’impegno a intervenire e a chiarire dal punto di vista normativo questa materia.
Queste le dichiarazioni del sindaco di Napoli Luigi De Magistris in merito all’ordinanza firmata nella serata di ieri. L’oggetto dell’ordinanza è decisamente in contrasto con quella regionale emessa dal governatore De Luca su: orari di chiusura dei bar e l’orario di stop della vendita di bibite e alcolici da asporto.
Questa settimana la nostra rubrica vi racconta di tutti i fantasmi che infestano la Baia di Trentova.
Una nuova leggenda
Il tempo scorre ed il mondo cambia, inesorabilmente. Man mano che gli anni passano e che strappiamo via pagine dal calendario sembra che, in queste nostre terre un tempo così ricche di leggende e mistero, non ci sia più spazio per draghi, favole e fantasmi.
E’ innegabile: di questi tempi è difficile che qualcuno parli di streghe, di fate ed altre creature fantastiche – tuttavia talvolta la magia ed il gusto del sovrannaturale riescono ancora a mettere radici tra i nostri pensieri e a far crescere i fiori di nuove leggende.
E’ questo il caso della Baia di Trentova, teatro di uno dei racconti leggendari più recenti della Campania. Si tratta di un luogo incantevole, addirittura patrimonio dell’Unesco: un mare cristallino e dagli incredibili colori circondato da una natura lussureggiante e quasi selvaggia.
Nonostante la bellezza del luogo questo viene, ormai, evitato nelle ore notturne. Per quanto possa essere piacevole allo sguardo, ciò che si dice è che la Baia sia infestata da un fantasma – o, stando a certe testimonianze, forse anche a più d’uno.
Se siete curiosi non abbiate timore: questa settimana #BussoLaLeggenda vi permetterà di scoprire, al sicuro sul divano della vostra confortevole dimora, tutti i racconti che riguardano la Baia di Trentova.
La bambina che venne dal mare
Tutto comincia nel non troppo lontano 2007; per la precisione, il giorno del 31 Agosto.
Un gruppo di persone si trovavano sulla spiaggia della Baia, a godere del mare e della frescura, trattenendosi nell’incantevole luogo fin dopo il tramonto. Erano felici della giornata appena trascorsa e restii a concluderla abbandonando la spiaggia.
Stando alle loro testimonianze, ad un certo punto una brezza gelida e penetrante, che raggelava pelle ed ossa, si sarebbe levata improvvisamente dal mare. Un silenzio surreale avrebbe circondato il gruppo, congelando nelle loro gole parole e risate.
Guardando verso il mare, avrebbero visto una piccola figura vestita di bianco avanzare verso di loro. Man mano che la sagoma s’avvicinava, si rendevano conto che si trattava di una bambina con indosso un vestito chiaro ed i capelli scarmigliati.
Come incantanti da quella visione, la osservavano mentre, avanzando, riemergeva dalle acque. Tuttavia, quando giunse alla spiaggia, la bambina vestita di bianco scomparve davanti ai loro increduli occhi.
L’orma
Ma le stranezze, per quel gruppo di bagnanti, non finirono qui – o, almeno, così dicono i racconti. Spaventati dall’accaduto e raccolte in fretta le loro cose si apprestarono ad andar via dallo stabilimento balneare.
All’entrata del lido si trovava un piccolo bar. Davanti agli occhi sempre più spaventati dei visitatori comparve un’impronta nel cemento armato: si trattava dell’orma lasciata dal piede di un bambino di non più di cinque anni. L’orma era ancora bagnata.
Nonostante i tentativi, i proprietari del bar non riuscirono a cancellare la traccia dell’impronta per molto, moltissimo tempo.
Fantasmi o mostri?
Non si tratta, tuttavia, dell’unico avvistamento di natura misteriosa che si è verificato nella Baia di Trentova. Molti dicono d’aver visto la bambina misteriosa e vestita di bianco venire dal mare: coppie d’innamorati rimasti in spiaggia a guardare le stelle, gruppi di amici desiderosi d’un bagno di mezzanotte e persino un gruppo di motociclisti.
Ma la testimonianza più recente e più particolare che riguarda la Baia di Trentova è quella che risale al 2014.
Un gruppo di ragazzi si riunì sulla spiaggia della Baia il 14 Agosto, per festeggiare la vigilia di Ferragosto. Accesero un falò e, tra canzoni improvvisate e giochi improbabili, s’apprestarono a trascorrere quella sera di festa insieme.
Ad un certo punto, come testimonieranno diversi di loro, di nuovo sentirono una brezza levarsi dal mare. Voltandosi verso le onde, dapprima videro l’acqua incresparsi in un punto e poi apparire, sopra questo, una luce quasi accecante.
In molti fuggirono, terrorizzati; quelli che di loro s’attardarono per qualche istante, incantati dalla sagoma che si stagliava dritta sul mare, riferiscono d’aver visto qualcosa, certamente, ma forse non una bambina. Si trattava di qualcosa di dimensioni molto più imponenti, e che, invece di camminare, pareva strisciare o forse fluttuare sull’acqua.
Forse, più che di fantasmi, in questo caso si è parlato di mostri: ma da cosa è infestata la Baia di Trentova?
La Baia di Trentova
Non sappiamo quanto di vero ci sia nelle parole riportate da questi testimoni, e nemmeno in che misura si possano distribuire in questi racconti la realtà e la suggestione.
C’è da dire che coloro che abitano nelle vicinanze evitano, ormai, di visitare la spiaggia durante la notte, convinti che la Baia di Trentova sia abitata fantasmi e terribili creature.
Se siete curiosi ed amate le compagnie ectoplasmatiche, non vi resta che recarvi in questo luogo magico e bellissimo dopo il calar del sole: forse vedrete anche voi la bambina bianca o qualche creatura luminosa venirvi incontro…
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Nel Salernitano i comuni costieri stanno iniziando ad impegnarsi per rilanciare il turismo nella propria zona, e le amministrazioni stanno provvedendo ad organizzare piani spiagge per consentire l’accesso agli arenili liberi, che saranno costantemente sorvegliati per prevenire l’eventuale formazione di assembramenti.
Nella zona del Cilento, le spiagge libere del comune di Agropoli, in grado di ospitare fino a 4.500 persone, sono state divise in otto e saranno organizzate dal Comune affinché sia rispettato il distanziamento e assicurati i 10 metri quadri per ogni ombrellone. Per accedere in spiaggia, si dovrà prenotare tramite app o telefono e, in base all’afflusso di persone, sarà possibile suddividere la giornata in due fasce orarie, mattina e pomeriggio.
Anche nella vicina Castellabate, si potrà accedere sulle spiagge libere solo dopo aver prenotato tramite app e sarà garantita la distanza tra ombrelloni. Intanto, giovedì 4 giugno, il Comune avvierà i lavori di riqualificazione del porto di San Marco con 5 milioni di euro finanziati dalla Regione Campania. Alla cerimonia, è prevista la partecipazione del governatore Vincenzo De Luca. Sarà realizzata una banchina che renderà pienamente fruibile il molo e verrà migliorata la viabilità.
Tutte le spiagge nella zona del Cilento prevedono la presenza, in prossimità delle discese a mare, di steward, che sorveglieranno le spiagge affinché si evitino assembramenti, e ombrelloni e giocattoli verranno sanificati prima di poter accedere agli arenili.
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Bibite d’asporto vendute fino alle 24, apertura degli spazi verdi della città e locali aperti fino a tarda notte: sono alcuni dei punti salienti dell’ordinanza sulla Fase 2 firmata dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.
Il provvedimento entrerà in vigore lunedì 1 giugno e sarà valido fino al 31 ottobre 2020.
Nell’ordinanza, firmata nella serata di ieri, ai titolari e ai gestori degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi, degli altri esercizi di produzione artigianale di alimenti e dei chioschi su area pubblica, si ordina di rispettare – ripristinando gli orari in vigore fino ai primi di marzo – su tutto il territorio cittadino i seguenti orari di chiusura: ore 2.30 del giorno successivo, dalla domenica al mercoledì; ore 3.30 del giorno successivo, dal giovedì al sabato.
Sarà, inoltre, possibile somministrare alimenti e bevande ai tavoli, al banco, o venderle per l’asporto; resta confermato dalle ore 24.00 il divieto di vendita per l’asporto di prodotti in contenitori di vetro e in lattina.
Sarà vietata la vendita per l’asporto delle bevande alcoliche, di qualsiasi gradazione, sempre dalle ore 24.00. Sempre nel rispetto delle norme del governo, si prevede che nei luoghi distanti da insediamenti residenziali, o comunque a bassa densità abitativa, valgano gli stessi orari anche per lo svolgimento d’iniziative d’intrattenimento e di svago proposte al Comune.
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